Non possiamo restare in silenzio se il denaro detta le regole del calcio
UMBERTO
FOLENA
Nessun tributo ad Aldo Agroppi in occasione della Supercoppa italiana che si disputa in Arabia Saudita, per non urtare la sensibilità del Paese ospitante
Il cliente ha sempre ragione. Quando gli vendi qualcosa, e lui ti ricompensa con generosità ed entusiasmo, farai di tutto per non urtarne la sensibilità. Ed ecco spiegato che cosa è accaduto a Riyadh, Arabia Saudita, in occasione della Supercoppa italiana, ultima strenna sfornata dal nostro calcio. Mentre sui campi italiani la morte, a 80 anni, di Aldo Agroppi viene ricordata con un minuto di silenzio, in Arabia Saudita no. Il motivo è serio. In passato, il minuto di silenzio per ricordare Franz Beckenbauer e Gigi Riva era stato ricoperto dai fischi del pubblico arabo: da noi il silenzio è associato al lutto e al rispetto del morto, laggiù no. Laggiù risulta privo di senso e quindi motivo di dispetto e disapprovazione. Aldo Agroppi è meno celebre del Kaiser o di Rombodituono, ma il suo l’ha fatto: una carriera quasi per intero nel Torino, uno scudetto, cinque partite in Nazionale, una meno memorabile carriera da allenatore tra A e B, due volte alla Fiorentina (finite entrambi malaccio), e poi Perugia, Pisa, Padova… Il problema di Aldo Agroppi è ciò che ce lo fa amare: calciatore forte e uomo fragile, il male oscuro – che gli leggevi stampato in faccia, negli occhi da cocker assonnato – gli impediva sistematicamente di spiccare il volo.
E allora, che cosa penserà Lassù il buon Aldo, mentre palleggia con Franz e Gigi? Da livornese di Piombino si farà una risata, accompagnata da una battutaccia irriferibile. Pare che gli arabi, e i musulmani in genere, in fondo apprezzino l’umorismo: l’islamista Paolo Branca ci ha scritto un paio di libri. Non volete il minuto di silenzio? Vi daremo un minuto di chiasso… In realtà la questione è più complicata. In sintesi estrema: è la Supercoppa ospite di uno stadio arabo, o sono gli arabi ospiti della nostra Supercoppa? Noi zampettiamo sulla loro erbetta, ma loro sugli spalti vengono a vedere noi. Chi è ospite di chi? E chi quindi detterà le regole? E poi: aboliamo il nostro silenzio perché a loro suona strano, oppure cerchiamo di spiegare il significato che ha per noi? Siamo noi a doverci adeguare alla loro cultura, o loro alla nostra, visto che di pallone e cultura pallonara si tratta? Domande retoriche perché la risposta, purtroppo, è una sola e senza appello: il denaro vince, il mercato trionfa. Noi non andiamo a giocare in Arabia per dilettare lorsignori, ma soltanto perché ci pagano, e bene. Il calcio italiano è un prodotto, nient’altro che questo. Un prodotto che deve rimpinguare le casse asfittiche dei grandi club oberati dai debiti. E in nome del denaro il forte-fragile Agroppi può accomodarsi e la tradizione del minuto di silenzio può e anzi deve essere accantonata.
Il calcio è un giuoco – scritto proprio così, con la u del tempo che fu – come in Federazione Italiana Giuoco Calcio; in un giuoco il denaro dovrebbe seguire le regole e non disturbare, limitandosi a permettere che possa essere giocato serenamente; invece nel calcio intende dettarle, le regole.
Il messaggio è devastante, ma soltanto per chi ancora conserva un minimo di sensibilità. I bambini: ce ne sono di ogni genere, educati e selvaggi, lettori famelici e rimbambiti dallo smart. Ma sono sempre di più quelli che, ben addestrati dai genitori, stanno imparando che il denaro è la misura di tutte le cose. Magari vanno a catechismo, ma il loro dio è il denaro. A valere non è chi ama e sa; ma chi sfoggia denaro. Per loro sarà normale domani che il campionato italiano si giochi in Cina o negli Usa, per denaro. E saranno anormali i minuti di silenzio, gesti d’amore: che non rendono nulla, e irritano i preziosi clienti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
