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SPERANZA CONTRO PAURA

Il vero nemico da combattere

MAURO

MAGATTI

Governare con la paura o governare con la speranza? Negli Stati Uniti Trump ha vinto le elezioni facendo leva sulla paura degli immigrati dipinti come minacce per la sicurezza nazionale. Tema ricorrente tra le forze populiste che da anni lucrano sulla questione sicurezza: “ rischio zero” è l’infelice slogan sbandierato ai quattro venti.

Prima di lanciare la sua operazione speciale, Putin ha per anni educato il suo popolo parlando ripetutamente di un Occidente interessato a minacciare e distruggere la cultura russa. E per rincarare la dose, quando ha messo in campo i carri armati per invadere l’Ucraina, ha definito Zelensky e il suo governo come una banda di pericolosi neonazisti.

Un virus che non risparmia nemmeno l’Unione Europea, sempre più in preda alla paura di una Russia aggressiva e sanguinaria. Uno stato d’animo prima portato alle sue estreme conseguenze dal presidente francese Macron, che si è rivolto ai francesi con toni ansiogeni, quasi ci fossero truppe russe pronte ad attaccare l’intera Europa. E poi concretizzato nel piano ReArm Europe presentato da Ursula von der Leyen.

Persa la bussola di una globalizzazione lineare e priva di scossoni, la politica mondiale sembra piombata in un caos da cui pretende di uscire usando a piene mani il linguaggio della paura. Che immediatamente si tinge dei toni dell’odio e della guerra.

Governare con la paura permette di ricompattare opinioni pubbliche frammentate attorno alla minaccia di un nemico più o meno immaginario.

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Dalla prima pagina

L’ illusione è quella di risolvere così, in modo perverso, i problemi derivanti dallo sfilacciamento del legame sociale. Ma in questo modo coloro che ne fanno uso rimangono impigliati in una spirale da cui poi non ci si riesce più a liberare. Come una profezia che si autoavvera, la paura prima semina odio e poi raccoglie violenza. Determinando un contagio che, come stiamo tristemente vedendo, rischia di diventare inarrestabile. Se c’è una vittoria clamorosa di cui Putin oggi si può vantare, è di essere stato colui che ha cambiato lo stato delle relazioni internazionali che avevano preso forma con la caduta del Muro di Berlino.

L’alternativa al governo della paura è il governo della speranza. La speranza – come insegna la storia – non è la collezione dei buoni sentimenti, né è una prerogativa delle anime belle. Al contrario, come spiegano benissimo le parole acuminate René Girard, «la speranza è possibile solo per chi osa pensare i pericoli del momento, e a condizione di opporsi ai nichilisti, per i quali tutto è linguaggio, e contemporaneamente ai “realisti”, che negano all’intelligenza di saper toccare la verità: i governanti, i banchieri, i militari che pretendono di salvarci, quando invece ci fanno piombare ogni giorno di più nello sfacelo». La speranza non sottovaluta i rischi della situazione, non trascura le misure difensive, ma è capace di disegnare una prospettiva da seguire. Essa si nutre della virtù della fortezza che fa resistere al male senza rispondere con il suo linguaggio, ma piuttosto identificando possibilità nascoste in grado di trasformare la realtà. Una speranza “seria” è eroica e proprio per questo capace di ottenere vittorie sorprendenti. Come testimonia Vaclav Havel, dissidente cecoslovacco messo in prigione e poi diventato primo presidente di un Paese libero: « La speranza non è ottimismo, ma la certezza che ciò che stiamo facendo ha un significato. Che abbia successo o meno. O abbiamo la speranza in noi, o non l’abbiamo; è una dimensione dell’anima, e non dipende da una particolare osservazione del mondo o da una stima della situazione. La speranza non è una predizione, ma un orientamento dello spirito e del cuore; trascende il mondo che viene immediatamente sperimentato, ed è ancorata da qualche parte al di là dei suoi orizzonti. Non è la convinzione che una cosa andrà a finire bene, ma la certezza che quella cosa ha un senso, indipendentemente da come andrà a finire». L’Europa si trova di fronte a questo bivio: adeguarsi al governo della paura o intraprendere la strada della speranza. Che vuol dire diventare un presidio mondiale della pace che, costruendo una vera unità interna, sia capace di dire no ai prevaricatori affermando al tempo stesso l’impellente necessità del dialogo e del negoziato.

Nel 2008 quando arrivò la tempesta finanziaria, l’Unione Europea si trovò impreparata perché aveva una moneta unica senza un governo politico. Di nuovo nel 2022, con la crisi Ucraina, la Ue si è ritrovata nello stesso imbarazzo, sprovvista com’è degli strumenti per poter giocare un ruolo politico rilevante (e cioè politica estera e difesa comuni).

La vera minaccia per l’Europa è interna non esterna: la sua drammatica inconsistenza che diventa ogni giorno più insopportabile. È questo il nemico da combattere. Non c’è più tempo. La storia non aspetta.

Mauro Magatti

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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