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Il dolore dei vescovi ortodossi: «Il Tigrai dimenticato da tutti»

Sotto accusa la volontà dell’Onu di non rinnovare la commissione d'inchiesta sui crimini di guerra come chiesto dall'Etiopia, con l'appoggio di Usa e Cina e il tacito assenso dell'Ue E nell’ovest i massacri sono ripresi

«Siamo la voce del popolo tigrino senza voce, vittima di un genocidio ignorato dalla comunità internazionale». Sono Abuna Makarios, Abuna Atanasius e Abuna Querilios, tre vescovi della Chiesa ortodossa del Tigrai, separatasi due anni fa dalla chiesa ortodossa etiope perché secondo i vescovi tigrini era troppo allineata sulle posizioni del governo di Abiy Ahmed e non ha fatto nulla per fermare il massacro. Esercitano il loro magistero nelle diocesi degli Stati Uniti e sono appena tornati dal Tigrai.

Hanno scelto di testimoniare ad Avvenire le sofferenze dimenticate della regione perché papa Francesco è stato l'unico a invocare la pace nei due anni di conflitto dal novembre 2020 al novembre 2022. Che furono caratterizzati da atrocità, violenze contro i civili, stupri etnici e che hanno causato almeno mezzo milione di morti e due milioni di sfollati su una popolazione di circa sei. Ora l'orrore rischia di tornare. I tre vescovi denunciano la volontà del Palazzo di Vetro di non rinnovare la commissione d'inchiesta sui crimini di guerra come chiesto dall'Etiopia con l'appoggio di Usa e Cina e il tacito assenso dell'Ue. Bruxelles era stata molto dura con Addis Abeba sospendendo gli aiuti umanitari e vincolandoli alla ripresa delle investigazioni sui crimini di guerra, ma ha appena sbloccato un pacchetto di aiuti di circa 650 milioni di euro all'Etiopia. Il vento è cambiato, ma in Tigrai si muore ancora. «Come dice l’Oms – spiega Abuna Attanasius – l’86% delle strutture sanitarie del Tigrai è stato danneggiato come risultato di attacchi diretti o di saccheggi da parte soprattutto delle truppe eritree. Mancano i farmaci, i disinfettanti e i reagenti perché il governo centrale non ha i soldi per pagarli e quindi i medici si arrangiano con medicinali scaduti. I macchinari degli ospedali sono stati danneggiati dalle milizie Amhara, dai federali e dai soldati eritrei. Gran parte della popolazione non riesce a curarsi».

«Un’altra grave crisi – aggiunge Abuna Macarios – è quella alimentare. La gente ha fame, i bambini denutriti vanno a mendicare cibo agli angoli delle strade perché in una regione prevalentemente agricola sono state rubate le sementi, i fertilizzanti, i raccolti sono stati distrutti e il bestiame razziato».

Confermano i massacri dei religiosi ortodossi e i saccheggi di un patrimonio religioso dal valore artistico inestimabile finito sul mercato nero. E ribadiscono quanto si diceva a gennaio 2021, ovvero che nella città santa di Axum una delle ragioni che scatenò la furia assassina dei militari etiopi ed eritrei a fine novembre 2020 contro centinaia di pellegrini e fedeli fu la resistenza contro chi voleva trafugare l'Arca dell'alleanza custodita da secoli nella cripta della cattedrale di Nostra Signora Maria di Sion.

Ci sarà giustizia? « Le possibilità sono poche – aggiunge Abuna Querylius – perché è scaduto il mandato della commissione dii esperti di diritti umani sull’Etiopia che doveva indagare tra mille ostacoli e il Consiglio di sicurezza in silenzio non vuole rinnovarla accontentando Addis Abeba. Preghiamo per la pace in tutto il Corno, ma ci vuole giustizia e chiediamo all’Onu di confermare la commissione per trovare i responsabili degli stupri e gli assassini di civili innocenti». Nel frattempo nel Tigrai occidentale, invaso dalle milizie Amhara, sono ripresi i massacri etnici e la popolazione tigrina è fuggita nei campi per sfollati come a Sciré, dove ci sono sessantamila persone senza aiuti umanitari. I tre presuli confermano infine che gli invasori eritrei non si sono mai ritirati e che i venti di guerra tornano a soffiare.

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Una madre con il figlio gravemente malato seduta in ospedale a Samre, una cittadina del Tigrai a 40 chilometri da Macallè / Reuters

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