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Il grazie in forma comunitaria

CRISTINA

UGUCCIONI

Straordinaria opera di promozione e tutela della salute delle popolazioni africane ed è presente in nove Paesi della zona sub-sahariana

Don Dante Carraro, cardiologo e direttore di Medici con l’Africa Cuamm, racconta come per un parto andato a buon fine sia l’intera famiglia a esprimere la gioia ai medici. «In Italia diamo per scontati tanti servizi, che in quei Paesi non esistono»

La gratitudine costruisce e rafforza i legami belli della vita, quei legami che disegnano la trama forse invisibile ma certo indistruttibile della storia. Della gratitudine e del suo lavoro dialoga con Avvenire don Dante Carraro, cardiologo, direttore di Medici con l’Africa Cuamm, Ong-Onlus che svolge una straordinaria opera di promozione e tutela della salute delle popolazioni africane ed è presente in nove Paesi dell’Africa sub-sahariana.

In ordine al senso di gratitudine, ravvisa differenze tra le persone africane e quelle europee?

Sì. Quando le persone, come accade in Europa, vivono in un contesto ricco di risorse, di possibilità, di strutture, corrono il forte rischio di dare tutto per scontato, di sentirsi padrone della vita. E quindi corrono il forte rischio di pensare di non dover ringraziare nessuno. Le popolazioni africane, che invece vivono in contesti di grande povertà, sono molto meno esposte a questo rischio e molto più portate a ringraziare. Porto due esempi: molti in Italia danno per scontato che esista il servizio del 118, che basti una telefonata per ricevere assistenza. Dunque, non pensano di dover essere grati per questo. In Africa un servizio paragonabile al nostro 118 esiste solo in Sierra Leone, grazie al Cuamm. Nel nostro Paese molti danno per scontato che una mamma possa agevolmente raggiungere un ospedale e partorire in condizioni di sicurezza. In Africa, invece, moltissime donne non riescono neppure a raggiungere l’ospedale per partorire o per far curare il loro bambino. Quando lo raggiungono e ricevono assistenza mostrano una gratitudine commovente.

C’è un episodio che ricorda in particolare?

Ricordo una mamma: era partita dal suo villaggio prima dell’alba, a piedi, per portare in ospedale il suo bambino. Arrivò al mattino: il piccolo era affetto da una grave malaria cerebrale. Lo curammo e guarì: quando lo dimettemmo, la mamma, che non parlava inglese, mi fissò a lungo, con uno sguardo delicato, pieno di gratitudine profonda, che non ho più dimenticato. Ancora oggi, quando la fatica mi opprime, ripenso agli occhioi di quella mamma e mi dico: “forza, vai avanti!”. Sono convinto che in Europa dovremmo recuperare la verità essenziale della vita e della storia: ciascun essere umano è ciò che è grazie all’aiuto, al sostegno, alle capacità degli altri. E dovremmo essere più disposti a ringraziare.

In Africa ha osservato un modo peculiare di esprimere la gratitudine?

Sì. In Africa è molto presente la dimensione comunitaria della gratitudine. Ad esempio, capita che le donne con problemi seri legati al parto vengano accompagnate in ospedale da tanti familiari che restano pazientemente seduti fuori ad aspettare. Quando il parto va a buon fine, i familiari esprimono la loro riconoscenza intonando canti gioiosi. E, appena possono, invitano il medico al villaggio e organizzano una festa con balli, musica, buon cibo: è un’esplosione di gratitudine. E poi c’è l’esperienza delle celebrazioni eucaristiche: in tanti Paesi dell’Africa sono molto vive, per certo aspetti travolgenti. I fedeli esprimono il rendimento di grazie a Dio con tutto il loro essere, con la musica, il canto, il ballo.

La gratitudine manifestata in Africa ai medici del Cuamm come influisce sul loro modo di lavorare?

La gratitudine rafforza potentemente la motivazione e fa comprendere più in profondità la ricchezza della professione medica. E aiuta a essere coscienti che esistono differenze tra Italia e Africa: dunque aiuta a esercitare pazienza con le persone che, nel nostro Paese, sono portate a dare tutto per scontato. Allo stesso tempo la gratitudine ricevuta rende desiderosi di raccontare le esperienze vissute in Africa per far comprendere quanta forza e grazia ci sono nell’atto di ringraziare.

La povertà può anche storcere l’anima, indurire il cuore soffocando la gratitudine. Come la si riaccende?

Con la bontà, la fedeltà, la perseveranza. Penso a un episodio accaduto in Sud Sudan. Un giorno incontrammo il nuovo ministro della salute di una regione del Paese e lui fu aggressivo verso il Cuamm e verso di me: ci attaccò con parole offensive. Ne soffrii. Nonostante quelle offese, naturalmente continuammo la nostra opera di cura in quella zona. E tenemmo i contatti con quel ministro che, con il tempo, capì il nostro lavoro. Oggi è uno dei nostri più cari amici. La sua durezza – nata da anni di umiliazioni e di dolore a causa della povertà estrema della sua gente – è venuta meno grazie alla nostra fedeltà e alla bontà dei nostri interventi.

A chi desidera rivolgere parole di gratitudine?

A Dio, per la sua fedeltà: capisco che non mi ha mollato in mezzo ai tanti tornanti e ai sentieri scoscesi che ho percorso nella vita. Gratitudine profonda nutro anche per i miei genitori che mi hanno insegnato la concretezza dell’esistenza. In particolare, mia mamma mi ha aiutato a capire che sacerdote avrei voluto essere. Un sentito grazie lo rivolgo poi a don Bernardo, che non ha mai avuto paura dei dubbi e dei travagli della fede facendomi comprendere che la fede è impastata con la vita. Infine, il mio grazie va al dottor Zanetti, un neurologo che mi ha insegnato la sapiente arte di ascoltare.

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Don Dante Carraro A sinistra lo stesso sacerdote e cardiologo con una donna che ha partorito il suo bambino

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