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Franchezza e riconciliazione Il dialogo secondo Francesco

«Non si possono costruire ponti tra gli uomini dimenticando Dio», ha detto il Pontefice argentino pochi giorni dopo l’elezione. Archiviato il dialogo di facciata o “delle coccole”, per un dialogo fra le Chiese, con l’ebraismo, con l’islam e con altre fedi che è un «camminare insieme verso Dio». Un processo che coinvolge il mondo e il popolo

BRUNETTO SALVARANI

Come dicevano i latini, nomen omen: così, la scelta del nome Francesco ha prodotto un’immediata euforia nel popolo del dialogo, reduce da stagioni fitte di disincanti, spingendolo a coltivare inedite speranze di un cambio di passo. Grazie a segnali emersi da subito, quel 13 marzo 2013, soprattutto il suo non casuale autodefinirsi vescovo di Roma, prima di Papa : opzione densa di senso nella grammatica ecumenica, dato che le modalità con cui si percepisce il primato petrino sono a tutt’oggi ostacoli ingombranti in vista dell’unità, come ammesso dallo stesso Giovanni Paolo II nell’enciclica Ut unum sint (1995). Da allora, l’impegno nel campo vasto del dialogo ecumenico e interreligioso per Bergoglio si rivelerà strategico, necessario, fondante quanto urgente. La consapevolezza del rischio che le Chiese e le religioni si lascino strumentalizzare da chi ne intuisce la valenza travolgente in chiave identitaria e fondamentalista, in lui, produrrà un filo rosso destinato a tratteggiare un susseguirsi inesausto di gesti, incontri, dichiarazioni, fianco a fianco con uomini e donne di fedi diverse, forte fra l’altro di una sensibilità maturata in Argentina (dove, va detto, il peso della stor ia e delle rotture fra i cr istiani è minore e meno sentito). Nove giorni dopo la sua elezione, rivolto al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Francesco indica le linee guida del proprio pontificato, affermando che «non si possono costruire ponti tra gli uomini dimenticando Dio» e definendosi «costruttore di ponti». Fino a dirsi desideroso che «il dialogo tra noi aiuti a costruire ponti fra tutti gli uomini, così che ognuno possa trovare nell’altro non un nemico, non un concorrente, ma un fratello da accogliere e abbracciare». Una lente di lettura utile a comprendere il senso dei suoi numerosi viaggi, tradizionali passaggi clou degli ultimi pontificati, che hanno privilegiato terre di frontiera e luoghi di confine, simbolico non meno che reale. Peraltro, al di là dei passi avanti nelle relazioni ecumeniche e interreligiose, motivi di speranza per il popolo del dialogo sono parsi evidenti anche nel suo stile di pontificato: penso alla visione del teologo francese Theobald quando rilegge l’intero messaggio cristiano come uno stile di vita. Un atteggiamento, quello di Bergoglio, che, sancita la fine di quello che il cardinal Kasper aveva definito il dialogo di facciata o delle coccole (fu a Sibiu, in contesto ecumenico, il 5 settembre 2007), ha favorito l’avvio di una stagione di dialoghi nella franchezza e nella collaborazione: quello di cui le Chiese, le religioni e il mondo intero hanno un estremo bisogno.

Per fare un esempio, ecco un incontro solo apparentemente periferico, quello avvenuto a Caserta, il 28 luglio 2014, tra Francesco e il pastore della locale Chiesa Evangelica della Riconciliazione, Giovanni Traettino, legato a lui da una lunga amicizia, nata in Argentina. Nell’occasione il Papa addita nell’unità nella diversità riconciliata, riprendendo la sua esortazione in Evangelii gaudium (230), il modello cui tendere per riavvicinarsi tra fratelli di confessioni diverse e poter camminare insieme verso Dio. Tanto da adottare un linguaggio proprio del movimento ecumenico cui il protestantesimo ha largamente contribuito, ecumenismo non come sfera dell’uniformità bensì come poliedro, unità con tutte le parti diverse in cui ciascuna ha la sua peculiarità, il suo carisma.

Ai suoi occhi, in sintesi, l’identità cristiana non può mai essere compresa attraverso la negazione dell’altro, ma solo e sempre in relazione all’altro, colto nella sua irriducibile diversità. Si tratta di un processo centripeto, in controtendenza alla dinamica vorticosamente centrifuga che sta caratterizzando questa fase della globalizzazione, che può significare molto anche al di fuori dei tradizionali recinti religiosi.

Ma tanti sarebbero gli incontri da ricordare: alla rinfusa, con il primate anglicano Welby; con i valdesi a Torino, prima volta di un Papa in un tempio valdese; con il patriarca di Mosca Kirill, a Cuba, e così via, con un picco a Lund, in Svezia nel 2016, per celebrare i cinquecento anni di Lutero (altra novità assoluta per un pontefice); senza dimenticare il suo prodigarsi per una teologia mediterranea… Esperienze vive che precedono e accompagnano il dialogo teologico, lo rendono meno traumatico e lo liberano da ipotetiche derive ideologiche e logiche politiciste: immettendovi in qualche modo un senso di fretta, abbandonando qualsiasi fredda diplomazia ecumenica per coinvolgervi le voci del mondo e del popolo.

Cimentandosi in un’autentica teologia dei gesti, Francesco ha di fatto ridisegnato il modello dell’incontro fra Chiese, puntando sui tratti della dimensione spirituale, della preghiera, dell’ascolto; della teologia sì, ma non quella dei manuali, a tavolino, bensì quella che sgorga dal vissuto. Da qui, il costante invito a “camminare insieme”: eredità preziosa, che ci si augura non vada smarrita… «Come cristiani non possiamo considerare l’ebraismo come una religione estranea»: così Evangelii gaudium al 247, in un passo sugli intrecci con l’ebraismo, in cui si rielaborano Nostra aetate 4 e un discorso chiave di Giovanni Paolo II alla comunità ebraica di Mainz sull’alleanza non revocata.

Come ammise nel solenne appuntamento in Sinagoga a Roma del 17 gennaio 2016, nella Giornata che i vescovi italiani hanno scelto di dedicare alle relazioni ebraico-cristiane, ribadendo che «nel dialogo ebraico-cristiano c’è un legame unico e peculiare, in virtù delle radici ebraiche del cristianesimo». Su questo versante, peraltro, non sono mancate incrinature, causate in particolare dalla diversa ricezione del tremendo massacro di Hamas del 7 ottobre 2023, con aperte accuse di carenza di empatia da parte dell’Assemblea Rabbinica Italiana e di suoi esponenti di punta, cui il Papa ha risposto con un’intensa Lettera ai fratelli e alle sorelle ebrei di Israele , il 2 febbraio 2024: « Il percorso che la Chiesa ha avviato con voi, l’antico popolo dell’alleanza, rifiuta ogni forma di antigiudaismo e antisemitismo, condannando inequivocabilmente le manifestazioni di odio verso gli ebrei e l’ebraismo, come un peccato contro Dio».

Particolarmente attento alle relazioni col mondo musulmano, il 4 febbraio 2019, negli Emirati Arabi Uniti, con il grande imam di al-Azhar Ahmad al-Tayyeb, Francesco firmava un documento sulla Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune.

A seguire, il 3 ottobre 2020, la terza enciclica, Fratelli tutti , sulla fraternità e l’amicizia sociale: come per la seconda ( Laudato si’, 2015) il suo ispiratore era stato il patriarca Bartolo-

meo, ora le bussole sono lo stesso imam e il Documento di Abu Dhabi , che di Fratelli tutti va considerato antecedente diretto. In tale orizzonte vanno inquadrati quello che appare a tutti gli effetti il progetto di Francesco di una mano tesa all’islam, sulla scia dell’incontro di Francesco d’Assisi col Sultano (1219), ivi compreso l’epico pellegrinaggio nell’Iraq sciita in piena pandemia, nel 2021; e l’invito a utilizzare «la cultura del dialogo come via, la collaborazione comune come condotta, la conoscenza reciproca come metodo e criterio».

Ma forse la sua definizione più intensa di dialogo si trova nel discorso in occasione dei cinquant’anni del Pisai (Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica), prestigiosa struttura che nei decenni ha formato centinaia di operatori al confronto col mondo islamico, il 24 gennaio 2015. Esso «esige pazienza e umiltà – sostenne Francesco – che accompagnano uno studio approfondito, poiché l’approssimazione e l’improvvisazione possono essere controproducenti o, addirittura, causa di disagio e imbarazzo. Forse mai come ora si avverte tale bisogno, perché l’antidoto più efficace contro ogni forma di violenza è l’educazione alla scoperta e all’accettazione della differenza come ricchezza e fecondità ». Per questo, «al principio del dialogo c’è l’incontro, e ci si avvicina all’altro in punta di piedi senza alzare la polvere che annebbia la vista». teologo

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Vaticano, Sala Clementina, 3 giugno 2024. Papa Francesco saluta i partecipanti al Convegno interreligioso del Movimento dei Focolari / Siciliani

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