PERCHÉ CI SERVE PIÙ EUROPA
ANDREA
LAVAZZA
Quando disse, nel 2012, il suo ormai storico «qualunque cosa serva» per salvare l’euro, «e credetemi, sarà abbastanza», il tono di Mario Draghi era controllato e disteso. Eppure, quelle due frasi del presidente della Bce eressero uno scudo d’acciaio per la moneta unica e il sistema economico continentale.
Pochi giorni fa, l’ex premier italiano, incaricato dalla Commissione di redigere un rapporto sulla competitività della Ue, davanti ai presidenti delle commissioni dell’Europarlamento, ha pronunciato con voce suadente un discorso che nei contenuti suona però come un ultimo appello: «I ministri finanziari mi hanno chiesto quale sia l’ordine delle riforme necessarie per l’Unione. Non lo so, ma è il momento di fare qualcosa. Decidete voi che cosa fare, ma per favore fate qualcosa». Negli stessi giorni sulla copertina del settimanale britannico “The Economist” campeggiava la domanda: «L’Europa è pronta?», stretta idealmente tra le diverse minacce di Vladimir Putin e Donald Trump, effigiati l’uno a fianco dell’altro, in postura aggressiva il presidente russo, e di spalle l’aspirante capo della Casa Bianca, a indicare l’annunciato disimpegno militare Usa. Si è soliti rassicurarsi in queste occasioni con altri motti celebri, ad esempio che l’Europa si è forgiata nelle crisi e sarà la somma delle soluzioni adottate per quelle crisi, attribuito a Jean Monnet. Tuttavia, come Draghi ha sollecitato, è tempo di non farsi più sorprendere dalle emergenze e di anticipare una svolta per la comunità dei 27 Stati membri e di quelli che stanno lavorando per aggregarsi. Guerre si combattono ai nostri confini, nuove potenze e accelerazioni tecnologiche stanno terremotando lo scenario economico globale, il cambiamento climatico incombe con sfide inedite e di difficile soluzione. A motivo di tutto ciò - e, forse, anche a peggiorarlo - si vanno rafforzando forze politiche populiste e sovraniste ostili, o per lo meno scettiche, rispetto a un rafforzamento in senso federale della Ue e centralistico della Commissione di Bruxelles e del Parlamento di Strasburgo, che andremo a rinnovare nel prossimo giugno.
Quali sono allora le riforme che servono all’Europa per non rassegnarsi a vedere progressivamente ridotti la sua sicurezza, la sua prosperità e il suo ruolo nel mondo? La risposta sembra obbligata. Non è vero che basti cominciare a fare rotolare la palla, come direbbe ancora Draghi nel suo elegante inglese. Ed egli lo sa molto bene.
Semplicemente, ha sufficiente garbo istituzionale per non invadere le prerogative altrui e, soprattutto, per non alimentare gli argomenti dei nemici di un’Europa forte, subito appostati per strillare che “le élite non votate da nessuno ci dicono che cosa fare”. Perché è proprio di un’Europa politica coesa e investita di capacità decisionali in settori chiave di cui abbiamo bisogno.
Ammesso che si riesca a introdurre un commissario alla Difesa, per fare l’esempio più attuale, non sarà questa nuova figura a cambiare una situazione in cui c’è profonda divisione su come delineare strategie comuni e costruire forze armate continentali. La spaccatura tra nazioni rafforza le ambizioni imperialistiche di Mosca e indebolisce le prospettive dell’Ucraina di mantenere autonomia e integrità territoriale. La mancanza di una linea condivisa impedisce di essere attori credibili ed efficaci in Medio Oriente, lasciandoci spettatori degli eventi più tragici e sanguinosi da molti decenni. Bisogna investire molto di più, ragiona poi l’ex numero uno della Banca centrale. Ma come possiamo farlo in modo coordinato se non troviamo migliori meccanismi di governance? E in che modo si potrà fare fronte all’avanzata della Cina se ciascuno Stato procede secondo i propri interessi del momento nelle relazioni con Pechino? E lo stesso vale per questioni che non ammettono approcci meno che complessivi, dall’ambiente all’intelligenza artificiale. Difficile ipotizzare che uno spirito di concordia improvvisamente illumini tutti i leader o che un ridisegno generale dei Trattati possa essere perseguito in tempi brevi.
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A llora, superare diritti di veto e rigidi vincoli di unanimità nei processi deliberativi a vari livelli dovrebbe essere il primo, irrinunciabile obiettivo di tutti coloro che vogliano il bene dell’Europa, intesa come spazio di opportunità e di crescita per tutti i soggetti coinvolti. All’approssimarsi delle consultazioni continentali l’auspicio, non nuovo perché molto spesso non raccolto, è che il dibattito pubblico e tra i partiti prenda sul serio l’appello dell’ex presidente del Consiglio e si concentri sulle grandi questioni che vanno affrontate con coraggio e determinazione. La secca postilla di Draghi nel discorso citato in precedenza dovrebbe essere l’antidoto alla tentazione del ripiegamento su temi e polemiche di corto respiro: «Non si può passare tutto il tempo a dire no».
Andrea Lavazza
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