I Patriarchi: «Le nostre Chiese non lasceranno la gente di Gaza»
LUCIA
CAPUZZI
Il grido del cardinale Pizzaballa e di Teophilus: «Per molti rifugiati partire verso il sud sarebbe una sentenza di morte. Non può esserci un futuro che sia basato su prigionia, sfollamento e vendetta»
Non è stata una sorpresa. Da quasi ventitré mesi, i tre sacerdoti e le cinque suore dell’unica chiesa cattolica della Striscia spiegano, con le parole e con le azioni, il senso della loro presenza con la metafora della candela accesa nel buio. Quando è impossibile diradare le tenebre, tenere vivo un bagliore diviene l’unica forma di resistenza all’oscurità dominante. Con questa convinzione il parroco, Gabriel Romanelli, fuori dall’enclave il 7 ottobre 2023, ha combattuto per rientrare durante i successivi sei mesi,fin quando non è riuscito a tornare a “casa”. La minaccia del premier israeliano Benjamin Netanyahu di «prendere il controllo» di Gaza City, la sfilza di ordini di evacuazione piovuti sulla capitale dell’enclave e i bombardamenti sempre più massicci, non hanno incrinato la determinazione sua e degli altri religiosi e religiose – dell’istituto del Verbo Incarnato e le Missionarie della Carità – che accolgono quasi 500 rifugiati e assistono una cinquantina di disabili. Né quella dei responsabili della vicina parrocchia ortodossa di San Porfirio. Tutti hanno deciso di «rimanere e continuare a prendersi cura di quanti si troveranno nei due complessi». Lo hanno affermato, in una dichiarazione congiunta, i Patriarchi greco-ortodosso e cattolico di Gerusalemme. «Tra coloro che hanno cercato rifugio tra le mura dei complessi, molti sono indebo-liti e malnutriti a causa delle difficoltà degli ultimi mesi. Lasciare Gaza City e cercare di fuggire verso sud sarebbe una condanna a morte», scrivono Teophilus III e il cardinale Pierbattista Pizzaballa. Missionari e missionarie staranno al loro fianco. Gli altri sfollati, come le centinaia di migliaia di residenti della capitale della Striscia, sceglieranno «secondo coscienza » se partire per la parte meridionale dell’enclave, come ordinato dalle forze armate di Tel Aviv. «Non sappiamo esattamente cosa accadrà sul campo, non solo per la nostra comunità, ma per l’intera popolazione. Possiamo solo ripetere ciò che abbiamo già detto: non può esserci futuro basato sulla prigionia, sullo sfollamento dei palestinesi o sulla vendetta», si legge nel documento che riprende le recenti parole di papa Leone: «Tutti i popoli, anche i più piccoli e deboli, devono essere rispettati dai potenti nella loro identità e nei loro diritti, in particolare il diritto di vivere nella propria terra; e nessuno può costringerli all’esilio».
Questa – sottolineano – «non è la strada giusta. Non c’è motivo di giustificare lo sfollamento di massa deliberato e forzato di civili». E concludono con un appello alla comunità internazionale affinché «agisce per porre fine a questa guerra insensata e distruttiva e per il ritorno delle persone scomparse e degli ostaggi israeliani». Lo stesso grido lanciato da George Anton, alla guida del comitato di emergenza della Sacra Famiglia in un’intervista di Antonella Palermo sul sito Tra cielo
e terra. «Lo capite? Aiutateci a fermare questa guerra, perché è una follia! Lo capite? Qui stanno morendo tutti, per i bombardamenti e per la fame – ha tuonato –. E chi dice che non c’è fame venga a vedere con i propri occhi!”. Da qui non ce ne andremo, non abbiamo un altro posto dove andare. Non possiamo fare nulla, non abbiamo niente, solo la fede e la preghiera». Il suo urlo si fonda con quello della maggioranza degli israeliani scesi ieri in centinaia di migliaia per chiedere la fine del conflitto.
Il governo Netanyahu, però, prosegue nella sua ostinata sordità. Nella riunione di ieri del gabinetto di sicurezza – anticipato per consentire al premier e a vari ministri di partecipare a un evento organizzato dal Consiglio regionale di Binyamin, in Cisgiordania –, secondo fonti ben informate, non è stata discussa la proposta di tregua di Hamas. Al contrario, il premier ha ribadito l’intenzione di andare avanti con l’offensiva su Gaza City con l’obiettivo di aumentare la pressione sul gruppo armato e ottenere il rilascio in un’unica fase degli ostaggi. Un nuovo incontro del gabinetto – in base alle stesse fonti – è prevista domenica e dovrebbe dare il via libero definitivo all’espansione delle operazioni militare. Fuori dalla capitale dell’enclave, carri armati e unità sono già in attesa. Le «porte dell’inferno» – così ha detto Netanyahu – potrebbero dischiudersi a breve.
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Il 17 luglio la parrocchia della Sacra Famiglia a Gaza City è stata colpita dall’esercito: 3 i morti Sotto, il cardinale Pierbattista Pizzaballa e il patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme Theophilus III/ Ansa
