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Paolo VI, «fiamma di fede» sul mondo

ANALISI

ELIANA

VERSACE

Citato da papa Prevost nei primi giorni di pontificato, il Pontefice bresciano mostra intuizioni chiare e coraggiose sulla missione della Chiesa oggi

Custodire il Vangelo e trasmetterlo alla società moderna, «senza dubbi e senza timore»: nel pensiero di Montini c’è l’impronta profonda di sant’Agostino e di Leone XIII

«Passi su tutto il mondo come una grande fiamma di fede e di amore che accenda tutti gli uomini di buona volontà, ne rischiari le vie della collaborazione reciproca, e attiri sull’umanità, ancora e sempre, l’abbondanza delle divine compiacenze, la forza stessa di Dio, senza del quale, nulla è valido, nulla è santo». La suggestiva invocazione scritta da Paolo VI il 22 giugno 1963, all’indomani della sua elezione al soglio pontificio, nel Messaggio da lui rivolto «all’intera famiglia umana», è stata ripresa e pronunciata come augurio da Leone XIV al termine dell’incontro avuto con il collegio cardinalizio due giorni dopo esser divenuto Papa. M editando sul momento dell’elezione al pon-tificato, nei giorni immediatamente seguenti, Paolo VI (di cui oggi si celebra la memoria liturgica) ne diede una interpretazione spirituale e, negli appunti conservati dal suo Segretario personale, si richiamò esplicitamente alla riflessione di sant’Agostino: «Mi pare che i fatti erano più forti di me; e che in me vi fosse una sincera e tacita preghiera di essere risparmiato, ma insieme il proposito di non commettere viltà e di fare oblazione, ancora, della mia povera vita. [...] Ora posso capire dall’infimità, a cui è sceso il disegno di Dio, due cose: l’umiltà (se così si può dire) di Dio, il Dio umile, come diceva S. Agostino. E la Madonna: “Ha guardato l’umiltà della sua serva”. E della mia bassezza a confronto di quella di Maria che dire? quali abissi! Ma così agisce il Signore: lo sguardo intenzionale anche sulla piccolezza infinitesimale! E allora? Allora una seconda scoperta: così ama Dio! Dio mio, Dio mio, quale fuoco». A lcuni tra coloro che furono antichi discepoli di Montini, ai tempi in cui il futuro Pontefice era assistente ecclesiastico generale della Federazione universitaria cattolica italiana (Fuci) – e che resteranno gli amici più fedeli di Paolo VI –, presenti in piazza San Pietro nella calda mattinata del 21 giugno 1963, erano convinti – come raccontò uno di essi, lo studioso e bibliotecario personale del Papa, Nello Vian – che Montini avrebbe preso il nome di Leone XIV in esplicito riferimento a Leone XIII, «il Papa sotto il quale era nato e per il carattere spiccatamente dottrinale e intellettuale di quel pontificato», elogiato in uno scritto montiniano degli anni fucini. L’eletto scelse invece di chiamarsi Paolo, «nome bello e nuovo, tradizionale, ma diverso da quelli ripetuti negli ultimi tempi» – annotò Paolo VI –, preferito «per ammirazione all’Apostolo-missionario, che porta il Vangelo al mondo, al suo tempo, con criteri di universalità, il prototipo della cattolicità». Nel ritiro spirituale, vissuto a Castel Gandolfo dal 5 al 13 agosto 1963, Papa Montini compì una meditazione sulla Chiesa, «che continua, che non deve finire più, e deve svolgersi in amore», che riguardava il rapporto tra essa e l’umanità e doveva trovare il suo centro e il suo alimento in Cristo. «Devo ritornare al principio» – scriveva il Papa–, al «rapporto con Cristo», mediante una vera fedeltà al Fondatore, che avrebbe comportato anche l’accettazione della sua Croce. «Forse – osservava all’inizio del suo pontificato – la nostra vita non ha altra più chiara nota che la disciplina dell’amore al nostro tempo, al nostro mondo, a quante anime abbiamo potuto avvicinare e avvicineremo: ma nella lealtà e nella convinzione che Cristo è necessario e vero».

P aolo VI, che aveva vissuto la sua elezione nell’abbandono fiducioso alla volontà divina, in un appunto autografo non datato manifestò la profonda consapevolezza del ruolo di successore di Pietro che era stato chiamato a rivestire. La missione di Pietro – “confirma fratres tuos” – si esplicava «nell’atmosfera di crisi (di fede, di identità, di costume, di disciplina, di tradizione...), cioè nella mancanza di sicurezza (di certezze ideali, di spirito di fedeltà e di sacrificio, di speranza, di dedizione ecc.)»; il Papa spiegava quindi in questo testo – custodito presso l’Istituto Paolo VI a Concesio (Brescia) – come spettasse «a Pietro mostrare sé stesso fortis in fide, franco e sicuro, ardito nella prudenza, senza dubbi e senza timore, pieno [...] di fede e di Spirito Santo, capace di sintesi e di azione, esposto al rischio e al sacrificio». Solo così egli avrebbe potuto infondere nei fratelli «la fede e la speranza e la carità in Cristo Signore, affermate nella coesione interiore alla Chiesa e nell’annuncio interpretativo e operativo di salvezza a contatto col mondo».

Riflettendo durante un’udienza sul mandato affidato da Gesù a Pietro e ai suoi successori, Paolo VI fece riferimento a sant’Agostino – autore molto amato e meditato da Montini sin da giovane, come è attestato dai suoi numerosissimi fogli autografi contenenti riferimenti e citazioni del Santo d’Ippona, da lui invocato quale «maestro di vita interiore» – per rimarcare come credere in Cristo vuol dire amare Cristo e, pertanto, la fede è intimamente congiunta all’amore di carità.

Q uello di Pietro e del Papa nella guida del popolo cristiano è dunque un primato pastorale, un primato d’amore e di verità. Per allargare i confini della carità Paolo VI assunse come impegno primario il compito di evangelizzare. Il dialogo, inteso essenzialmente come colloquium salutis, è stato innanzitutto un metodo – espresso da papa Montini sin dalla prima enciclica Ecclesiam suam– compiuto «nell’interesse supremo della Verità» e per «l’amore appassionato e irrinunciabile alle sorti dell’umanità». Custodire la fede e trasmetterla al mondo moderno, incontrandolo nella forma tipicamente montiniana del dialogo con esso, è forse la più alta testimonianza che Paolo VI ha dato alla Carità, e il più fecondo servizio reso alla Verità.

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Paolo VI durante uno dei suoi viaggi apostolici fuori dall’Italia, dei quali fu pioniere

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