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Individualisti, fragili e tecnologici I giovani filippini sognano l’estero

STEFANO

VECCHIA

I primi ragazzi dell’era post-analogica hanno una dipendenza dal digitale. Sono anche però una sfida per la Chiesa locale

Sono fedeli alle radici e alla famiglia d’origine ma meno pronti a costruirne una propria. Nell’emigrazione vedono uno strumento di realizzazione

Più individualisti e più fragili, fedeli alle radici e alla famiglia d’origine ma meno pronti a costruirne una propria, ancora più proiettati verso l’emigrazione come strumento di realizzazione e conoscenza, tecnologici ma più distaccati sul piano religioso.

Questa in sintesi la realtà, della Generazione Z delle Filippine (quella dei Centennials) che mostra una diversità sostanziale rispetto alla precedente Generazione X. Dove questa evidenziava una evoluzione nei modelli di vita rispetto a quello tradizionale, i Centennials propongono una cesura piuttosto netta mettendo al centro anzitutto la propria realizzazione, pronti ad approfittare di ogni ogni possibilità offerta. A favorirli rispetto a molti coetanei asiatici, la consolidata prassi migratoria, l’uso tra i più intensivi di Internet in Asia nelle sue varie possibilità e la diffusione dell’inglese, sia per ragioni storiche, sia per la possibilità che questa offre ai contatti e all’integrazione all’interno di una nazione caratterizzata da decine di lingue e centinaia di dialetti. A lla connessione fra inserimento a pieno titolo nell’universo digitale e la volontà di “farcela”, si situa una tendenza prioritaria al lavoro autonomo che recenti studi hanno mostrato come ricercato dal 55 per cento dei giovani in età fra 15 e 26 anni. Inoltre, meno della metà dei Centennials (il 48 per cento) sarebbero interessati a lavorare nel loro Paese, contro il 54 per cento dei Millennials. Chiaro l’intento di sperimentare nuove realtà come strumento di crescita personale, con una maggiore insistenza sulla possibilità di usare esperienze all’estero per aumentare la propria competitività sul mercato del lavoro.

N elle aree urbane le richieste avanzate ai datori di lavoro si attestano per il primo impiego post-laurea attorno ai 30mila peso, poco meno di 500 euro (contro un salario minimo legale di 17mila peso), e la capacità contrattuale è accentuata dalle statistiche che danno i Centennials al 30 per cento della forza lavoro complessiva di 65 milioni (su 110 milioni di abitanti) entro il prossimo anno. Q uesta “carica” che porta a perseguire una vita più personalizzata, la maggiore pressione dello studio come strumento di realizzazione e aspettative non immediatamente soddisfatte alimentano problematiche maggiori rispetto alle generazioni precedenti. Studi recenti, ad esempio, hanno sottolineato come il 35 per cento dei giovani sotto i 26 anni sperimentino la depressione e il 16 per cento mostrino consistenti livelli di ansia, dati più elevati della media asiatica. L a pandemia da Covid-19 si è verificata in un tempo in cui molti fra i 18 e i 24 anni entravano nella maggiore età e nel mondo del lavoro e uno studio del 2023 sulla salute mentale e il benessere tra i giovani ha mostrato che la Generazione Z esprime non soltanto difficoltà ma anche – in controtendenza rispetto al resto dell’Asia – mostra alti livelli di insoddisfazione per i risultati raggiunti. A nche da qui nasce la ricerca di collocazioni lavorative dove sia meno forte la pressione e più moderata la competitività, dove possano sentirsi più valorizzati e in grado di “lasciare un segno”. Il vantaggio per le aziende è che la supervisione dei giovani dipendenti può essere ridotta, data la loro maggiore presa di responsabilità, senza rischiare fughe in avanti. I rapporti interpersonali, d’altra parte, risentono dello squilibrio tra lavoro e vita. La famiglia resta centrale nelle esperienze e prospettive dei Centennials e l’umiltà un valore essenziale ma vi è una più forte coscienza di sé; la varietà delle comunicazioni per loro accessibili apre al mondo ma suscita anche timori e ansie; rispettosi delle istituzioni che riconoscono vicini ai loro valori sanno essere attivi per chiedere diritti e tutela ambientale; non sono concentrati sull’arricchimento quanto sulla soddisfazione. Nel quotidiano vestono casual anche per un minore impatto ambientale, acquistando di preferenza negli spacci ukay-ukay, dove si vendono articoli di seconda mano o da stock. Il 65 per cento contrasta le proprie difficoltà e paure con l’umorismo espresso online dai meme.

U no studio recente sulla realtà giovanile sottolinea che il 74 per cento degli intervistati ha nella fruizione di video online il principale riempitivo per il tempo libero e che il 27 per cento si aggiorna con notizie recuperate sulle piattaforme social. La lettura di libri resta sempre una possibilità intergenerazionale poco sfruttata, ma gli schermi di smartphone e tablet hanno di fatto sostituito fra i Centennials, quelli della Tv dei Millennials. Una situazione che ovviamente impatta, secondo gli analisti, sulle loro capacità cognitive, di attenzione e, dati alla mano, in misura crescente sulla salute mentale, ma che li rende perfettamente in grado di gestire strumenti avanzati di comunicazione mobile, informazione e gioco.

E la fede? La prima generazione post-analogica, la prima ad avere tra le mani fino dalla nascita un qualche strumento elettronico e a sviluppare molto presto una dipendenza dal digitale sta diventando riferimento per la società nel suo complesso. È però anche una sfida per la Chiesa filippina. « I giovani non sembrano apprezzare celebrazioni religiose come la processione del Nazareno Nero che potrebbero rafforzare la loro fede», segnalava lo scorso gennaio dopo un evento annuale molto meno partecipato rispetto a prima della pandemia l’arcivescovo di Cagayan de Oro, mons. Jose Cabantan. «Sembra che i giovani cattolici – Millennials e quelli della Generazione Z – stiano allontanandosi da manifestazioni religiose tradizionali a favore del social media e di attività giovanili».

L a crescente influenza dell’ideologia gender, il timore di essere giudicati, l’insofferenza generazionale verso elementi della tradizione che sentono distanti o costrittivi, notizie negative su esponenti o istituzioni ecclesiali, l’assorbimento maggiore nello studio e nel lavoro e l’utilizzo quasi totalizzante delle piattaforme social, sfidano la Chiesa filippina a trovare modalità aggiornate di avvicinamento e accompagnamento dei giovani. A renderlo necessario non è solo la tendenza riportata nelle statistiche ufficiali. Se nel 2020 la popolazione cattolica era del 78,8 per cento e il 78 per cento dei filippini trovava la religione molto importante, solo il 46 per cento dichiarava di frequentare i sevizi religiosi con regolarità (contro il 66 per cento nel 1991). Un calo che nelle Filippine, dove la religione cattolica è storicamente e ancora oggi un forte elemento identitario rispetto ai vicini asiatici, suscita apprensione e interrogativi. P adre Erik Advosio è un sacerdote sessantenne attivo con i giovani in una parrocchia di Manila. Intervistato dalla giornalista Gaby Agbulos ha indicato come la “diversità” della Generazione Z non la svuoti di valori e che la Chiesa dovrebbe fare uno sforzo maggiore di avvicinamento e ascolto dei giovani. « La loro è anzitutto una domanda sul senso della vita e la condivisione delle esperienze è perciò essenziale», ricorda il sacerdote che ammette la necessità di una dialogo più intenso dei giovani con sacerdoti, suore o chi a qualunque titolo rappresenti la Chiesa. « In quest’epoca serve una nuova prospettiva – dice padre Advosio –. Occorre far comprendere come l’essenza della fede non riguarda leggi e strutture ma i rapporti, quello con Dio e quelli con gli altri esseri umani».

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C’è una generazione distaccata sul piano religioso. Spiega un sacerdote di Manila che la Chiesa dovrebbe fare uno sforzo maggiore di avvicinamento e ascolto dei giovani. «La loro è anzitutto una domanda sul senso della vita»

La “sfilata delle lanterne” dell’Università delle Filippine a Quezon City, Metro Manila/ Ansa

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