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Sadia, la laurea da ostetrica e un presente da pasticciera

ANTONELLA

MARIANI

ASadia piacciono tutti i dolci italiani, ma se deve scegliere dice il tiramisù. Lei però le torte non le mangia, le prepara. Mai avrebbe pensato di fare la pasticciera: ha studiato da ostetrica, quello era il lavoro verso cui era avviata quando viveva in Afghanistan e il futuro era ancora un orizzonte rosa. Il 15 agosto 2021 Sadia Saddiqi ha visto di persona il primo taleban della sua vita, quando gli studenti coranici sono entrati a Kabul e hanno spazzato via tutto: sogni, progetti. Lui stava di fronte a casa sua, armato, e loro si sono sentiti in pericolo. La madre di Sadia, Suhaila, lavorava in un programma di microcredito per l’imprenditoria femminile per conto della ong italiana Pangea.

Il padre e il fratello maggiore sono ingegneri e avevano un buon impiego. Sadia aveva 22 anni e svolgeva il tirocinio in un ospedale della capitale. Già da giorni i responsabili di Pangea aveva ordinato di distruggere i documenti, abbandonare la sede: i taleban avrebbero cercato tutti coloro che collaboravano con gli occidentali o con il governo da loro sostenuto. La famiglia di Sadia, 10 persone in tutto, si trasferì in una abitazione sicura accanto all’aeroporto, per tre volte cercò di imbarcarsi ma in quelle ore convulse dell’esodo nulla era sicuro. «Non avevo mai viaggiato fuori dall’Afghanistan. Non abbiamo preso nulla da casa perché non volevamo dare nell’occhio con le valigie. I taleban che stazionavano davanti a casa nostra chiesero dove stavamo andando. Ho avuto paura, sì. Io sono partita con uno zainetto: un paio di pantaloni, il velo, quattro vestiti. Non ho preso nient’altro». Sadia è una degli oltre 5mila afghani trasferiti in Italia nei giorni successivo alla capitolazione di Kabul. Loro dapprima andarono in un centro di accoglienza vicino a Napoli, poi dopo 3 mesi furono trasferiti a Milano, dove sono stati inseriti in un progetto di sostegno del Cas (Centri di accogienza straordinari, gestiti dal ministero degli Interni tramite le prefetture). La trafila è stata la stessa per tutti: i corsi di italiano e quelli professionali, i documenti, il percorso verso un’autonomia... «Ho seguito un corso di pasticceria e dopo 6 mesi di tirocinio ho trovato un lavoro che mi piace, inizio al mattino presto a preparare le basi per le torte in una grande catena di ristorazione. Ma a Milano non ci potevamo stare, il progetto di sostegno è terminato e gli affitti sono troppo cari». Pochi mesi fa Sadia e la sua famiglia si sono spostati in un paesino della provincia di Pavia, lì la vita è più facile anche se per arrivare al lavoro in treno deve partire all’alba. Due fratelli hanno già un impiego, la madre e il padre fanno più fatica per via dell’italiano, la sorella attende la conferma da una catena di supermercati. E il diploma di ostetrica? «Sto cercando di farmelo riconoscere, ma la strada è lunga, e difficile. Il mio diploma di laurea è rimasto a Kabul e devo trovare il modo di farlo recuperare all’università e farmelo arrivare qui». In Italia, dice Sadia, «mi sono trovata bene, non mi sono mai sentita straniera. Se penso ai miei parenti rimasti a Kabul? Sempre. Ho paura per loro. Le mie cugine non possono più studiare e si sono sposate, giovani. Non era il loro sogno, volevano laurearsi, avere una professione. Tutto è cambiato tre anni fa».

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A 22 anni ha lasciato casa, affetti, lavoro: la sua vita era in pericolo. «Sono partita con uno zainetto e nient’altro. In Italia non mi sono mai sentita straniera»

U n ritratto di Sadia Saddiqi

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