«L’industria bellica non avrà mai un impatto sociale positivo»
ANDREA
DI TURI
Milano
Venghino, signori, venghino al bazar della finanza sostenibile o, meglio, degli investimenti ESG. Quelli che dichiarano appunto di utilizzare criteri sociali, ambientali e di governance per selezionare settori e attività in cui mettere denari. Ma che poi, a seconda delle convenienze, finiscono sempre più per gettare nel calderone degli Esg un po’ di tutto. Persino le armi. Sì, proprio quelle armi che fin dalle origini della finanza sostenibile, quando si chiamava etica, erano escluse insieme ad altri settori “controversi”, termine tecnico per dire moralmente inaccettabili: gioco d’azzardo, alcol, pornografia.
Ma ora la ricerca dell'autorevole Morningstar pubblicata dal Financial Times certifica che in tanti hanno cambiato idea. Che innanzitutto, con la narrazione bellicista ormai dominante, invece che di armamenti bisogna parlare di settore della difesa, che suona più digeribile. Poi, che ci sono armi e armi, ad esempio - lasciando fuori quelle di distruzione di massa e vietate dalle convenzioni internazionali, almeno per ora - quelle per l’attacco e quelle per la difesa, senza però perder troppo tempo a spiegare come, dove e soprattutto chi possa mettere un discrimine fra le une e le altre pretendendo di essere creduto. E via guerreggiando.
Ben venga, allora, secondo questa narrazione che non si può che definire tossica, che sempre più fondi sostenibili o Esg iniettino soldi nei titoli di società che fabbricano armi. Anche se sono i “mercanti di morte” di cui ammonisce Papa Francesco. Anche se fornire armi che vengono utilizzate in certi conflitti, e per essere più precisi da certi eserciti in questo momento, espone al rischio concreto di essere ritenuti giuridicamente complici – i fabbricanti di armi, gli investitori, gli Stati che permettono tutto ciò – di crimini atroci, come hanno da tempo ammonito il Consiglio per i Diritti umani e gli esperti delle Nazioni Unite in riferimento al flusso di armi che continua ad alimentare le stragi di civili a Gaza compiute dall’esercito israeliano. Per le quali Israele com’è noto è a processo presso la Corte Internazionale di Giustizia con l’accusa di genocidio.
Sono tutti d'accordo su questa china bellicista presa dalla finanza sostenibile? Per fortuna c’è chi dice no, come Etica Sgr, la società di gestione del risparmio del Gruppo Banca Etica: « In qualità di investitore responsabile – dichiara il presidente, Marco Carlizzi – consideriamo estremamente preoccupante la crescita degli investimenti in società del settore degli armamenti all'interno di fondi Esg, soprattutto in un contesto geopolitico che spinge molti attori finanziari a cercare in settori controversi, come gli armamenti, ma non solo (basti pensare a petrolifero e nucleare), opportunità di profitto a breve termine, anche attraverso pratiche di arbitraggio, che auspichiamo possano ricevere un attento monitoraggio nel tempo. La nostra visione, invece, persegue una logica di crescita di medio-lungo periodo e resta salda e coerente: investire in armi non potrà mai generare un impatto sociale positivo. Le guerre causano vittime civili e devastano il tessuto sociale, l’ambiente e le economie.
Per noi, mettere in campo altre armi non è la soluzione per cercare la pace. Per questo motivo, adottiamo da sempre un approccio rigoroso che esclude dai nostri fondi l'investimento nel settore della difesa, andando oltre la semplice esclusione di armi proibite da accordi internazionali, come le bombe a grappolo o le mine antiuomo».
Decisamente affine con quella di Etica Sgr è la posizione sul tema del Forum per la Finanza Sostenibile (Ffs). A luglio insieme hanno organizzato un webinar su “Promuovere una finanza per la pace” e sul rapporto tra sicurezza e sostenibilità Ffs ha previsto una sessione tecnica durante l’evento sugli investitori previdenziali nella giornata di chiusura della 13a edizione delle Settimane Sri (24 ottobre-7 novembre 2024): « La finanza sostenibile – spiega il direttore generale, Francesco Bicciato – si fonda sull'integrazione tra i fattori economici e quelli ambientali e sociali. Di conseguenza, secondo questa logica, gli investimenti in armi non possono essere considerati sostenibili. Gli investimenti sostenibili sono tali perché puntano a perseguire rendimenti economici includendo i fattori Esg nelle decisioni, nelle analisi e negli approcci d'investimento. Gli investimenti in armi non hanno le caratteristiche per generare impatti ambientali e sociali positivi e non sono dunque focalizzati sulla ricerca di una piena sostenibilità».
Infine, la posizione degli investitori che si richiamano ai valori cattolici, riassumibile al meglio in quanto scritto in Mensuram Bonam (MB), le prime linee guida sugli investimenti “coerenti con la fede” pubblicate a novembre 2022 dal Vaticano. Dove gli armamenti sono inseriti fra i criteri di esclusione: « I conflitti militari - si legge in MB - hanno sempre un costo in vite umane. La proliferazione incontrollata delle armi spesso facilita molte esplosioni di violenza e mina una pace sicura. Di conseguenza, le industrie che prosperano attraverso la produzione di questi strumenti di guerra e distruzione, sono coinvolte in un’attività riprovevole ». Inequivocabile.
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Carlizzi (Etica sgr): «Mettere in campo altre armi non crea la pace» Bicciato (Ffs): «Sono investimenti che non possono essere sostenibili»
Marco Carlizzi
Francesco Bicciato