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Dalla sala operatoria alla strada la santità indossa il camice bianco

MOLTE LE FIGURE DI LAICI ESEMPLARI NELLA SANITÀ

GIUSEPPE

MUOLO

Anche ad Auschwitz entrò un barlume di speranza. La Serva di Dio Stanislawa Leszczynska, ostetrica e terziaria francescana, riuscì a far nascere tremila bambini. Ne sopravvissero poi solo trenta, ma prima di lei i neonati venivano affogati e dati in pasto ai topi. Stanislawa rimaneva accanto alle madri e cercava senza sosta medicinali, bende, fette di pane. E ogni giorno guidava il Rosario per tutti. Un modello di santità laicale. La sua testimonianza è tuttora un faro per tanti medici e operatori sanitari, che oggi e domani festeggiano il Giubileo degli ammalati e del mondo della sanità. La sua vita è stata ricordata in un convegno alla Pontificia Università della Santa Croce, insieme alle storie di altri cinque laici che hanno intrapreso la strada della santità nel contesto sanitario.

Come dimenticare l’impegno del genetista francese Jérôme Lejeune, scomparso nel 1994 e dichiarato poi Venerabile. Lo scienziato, primo presidente della Pontificia Accademia per la Vita, scoprì l’origine genetica della sindrome di Down e si batté per la dignità umana e contro l’aborto. «Ripeteva senza sosta che la missione del medico consiste nel curare, non nel condannare un innocente», racconta monsignor Remi Bazin, amico di famiglia. Era «un uomo che considerava la fede e la scienza come due alleate nella ricerca della verità».

Negli anni ’70 Lejeune incontrò il Venerabile Ernesto Cofiño, pediatra guatemalteco, che fu instancabilmente al servizio degli orfani e dei bambini di strada. «La sua crescita di fede è andata di pari passo con il desiderio di aiutare sempre di più il prossimo», sottolinea Santiago Callejo, il postulatore della sua causa di beatificazione. Alla fine della sua carriera medica si dedicò alla Caritas. «Questo fu il suo “riposo”: lasciare l’ospedale e riversare tutto il suo amore sui più bisognosi». Instancabile fu anche il Servo di Dio Enzo Piccinini, ricercatore e chirurgo bolognese, morto nel 1999. La sua profonda umanità rivive negli occhi della figlia Chiara. Provvidenziale fu per lui l’incontro con don Luigi Giussani. «Il modo in cui accompagnava con umanità le persone malate nasceva dalla carità imparata dal cristianesimo». Sulla stessa scia, l’esperienza del Venerabile Vittorio Trancanelli, medico scomparso nel 1998. In una delle rarissime confidenze raccontò: «Quando opero, mi raccolgo in preghiera per chiedere l’aiuto del Signore». Sul letto di morte disse a sua moglie e ai figli: «Mi porto dietro tutto l’amore che abbiamo dato e ricevuto». Lo stesso che offrì il Servo di Dio Josè Gàlvez Ginachero, medico spagnolo che ha dedicato la sua vita a ridurre la mortalità dei pazienti poveri, per i quali chiedeva anche l’elemosina e metteva a disposizione i suoi stessi soldi. Nel 1916 donò cinquanta letti alla casa salesiana di Malaga. Secondo il vescovo Fabio Fabene, segretario della Congregazione delle Cause dei Santi, «la vita di questi servi di Dio dimostra come la speranza di ognuno di noi non potrebbe sostenersi senza lasciarsi condurre per mano dalla speranza degli altri».

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