Più fede, meno credenza: Vannini e la religione oggi
MAURIZIO
SCHOEPFLIN
Marco Vannini in dialogo con Francesca Cosi e Alessandra Repossi, Non c’è più religione? Le risposte di un filosofo:
così si legge sulla copertina di un recente volume edito da Lindau (pagine 92, euro 14,00,) e alcune di queste parole hanno un valore particolare su cui è opportuno soffermarci se vogliamo avvicinarci il più correttamente possibile al libro e comprenderne il significato. Innanzitutto, va sottolineato che siamo di fronte a un testo che riproduce un dialogo: due brave giornaliste hanno rivolto una serie di domande a Vannini, che ha risposto non in qualità di maestro, ma di testimone, come egli stesso afferma nella postilla conclusiva. Da oltre mezzo secolo l’autore fiorentino, ben noto ai lettori di “Avvenire” – sua un’apprezzata rubrica che appare su “Luoghi dell’Infinito” -, si occupa di questioni religiose, e non soltanto in qualità di studioso, ma anche – forse soprattutto - come appassionato interprete di quell’agostiniana inquietudine che caratterizza il cuore umano finché non trova riposo in Dio. A questo riguardo, appare rilevante pure la sua scelta di presentarsi in veste di filosofo, ovvero come un uomo che fa un uso ampio e convinto della ragione, la quale trova nel pensiero filosofico la più tipica e alta manifestazione.
Tornando a ciò che si legge sulla copertina del volume, si può affermare che il ruolo più importante è giocato non da una parola, ma da un segno di interpunzione, esattamente dal punto interrogativo, posto dopo le parole “Non c’è più religione”, che dà origine alla domanda cruciale posta al centro del libro e alla quale Vannini risponde operando una distinzione. Da una parte c’è quella che egli chiama “credenza” e che ormai sta scomparendo; dall’altra abbiamo la fede, «che è il movimento dell’intelligenza, ovvero di tutta l’anima, verso l’assoluto, e quindi non genera affatto credenze. Anzi: il suo atto principale è proprio negare tutto ciò che è accidentale, relativo, tutto ciò che riconosce come frutto dei bisogni e dei condizionamenti di una data epoca, come appunto le credenze». Secondo Vannini, la vera fede è distacco, svuotamento, notte oscura: è questa la lezione da lui appresa alla scuola dei mistici, ai quali ha dedicato anni e anni di studio. Stabilita la distinzione tra credenza e fede, il Nostro si dimostra convinto che il crollo delle credenze può risultare persino salutare e favorire la crescita e il consolidamento della fede, che non ha bisogno di stampelle più o meno persuasive, ma dell’abbandono radicale a Dio. Stabilita la netta distinzione esistente fra credenza e fede e definita quest’ultima come distacco totale che genera il vuoto ove trova spazio la luce divina, la conversazione si sposta sul ruolo della grazia costantemente effusa da Dio: essa andrà a dimorare laddove l’uomo di fede le ha preparato un luogo accogliente, ovvero libero da qualsiasi altro ingombro. D’altra parte – ricorda Vannini – è Gesù in persona a chiederci di rinunciare a noi stessi. Dal libro, nel quale non mancano riflessioni che a qualcuno potranno sembrare non sempre facilmente comprensibili e accettabili, emerge la convinzione che la vera religione non è morta e risalta la figura di un cristiano che ha dedicato a essa tutta la vita.
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