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«Frontex lo sapeva Allarme inascoltato»

Indignazione. È lo stato d’animo di chi soccorre i migranti in mare e si trova davanti agli occhi la disperazione dei sopravvissuti. Sono le storie di tanti profughi che si sono salvati dall’ultimo naufragio, simili a quelle raccontate dai superstiti a bordo della Ocean Viking. «Tanti naufragi possono essere evitati». Non ha dubbi, Juan Matias Gil, capomissione del team di ricerca e soccorso di Medici senza frontiere.

In che senso?

Anche nel caso dell’ultimo naufragio, c’era un’allerta da giorni e diversi velivoli avevano sorvolato la zona. Anche Frontex aveva individuato il gommone e sappiamo bene che tutto quello che vede il velivolo Frontex lo vede anche la sala operativa di Varsavia. Quindi anche tutti gli ufficiali presenti.

Tutti sapevano?

Il dato di fatto è l’allerta: era stata lanciata e in un mondo ideale quando c’è un’allerta si attiva anche un meccanismo di ricerca e soccorso. Nella sala operativa di Frontex a Varsavia ci sono ufficiali di guardia costiera, polizia e guardia di finanza. Quindi anche in questo caso non si può dire che Frontex ha visto ma non ha comunicato. Ci sono comunicazioni ufficiali che vengono fatte, perché il meccanismo funziona così. E se noi siamo in zona, possiamo cercare l’imbarcazione in pericolo ma non sempre ci dicono dove cercare.

Voi spesso siete allertati da Alarm Phone...

Quando ci vengono assegnati i porti verso cui dirigerci per sbarcare i migranti soccorsi, non sappiamo se ci sono altre imbarcazioni in pericolo perché non ci vengono comunicate le loro posizioni. Nel Mediterraneo non c’è trasparenza: lo denunciamo ormai da un anno e mezzo. Non sappiamo che cosa succede in mare. Ma sappiamo che se arrivano i libici perché sono stati chiamati a soccorrere un’imbarcazione in pericolo, abbiamo un problema. La Libia non è un porto sicuro e questo non è un dettaglio da poco. Queste situazioni continuano, sono sempre presenti nel Mediterraneo centrale, confermando questa continua mancanza di trasparenza. Tornando all’ultimo naufragio, da sette giorni si sapeva che c’era una situazione di pericolo ma non sappiamo se era stato attivato un sistema di ricerca e soccorso.

A proposito di porto, vi abbiamo lasciati al doppio porto… dove siete adesso?

Questa è un’altra vergogna. Dall’area di soccorso fino a Genova (secondo porto dopo Civitavecchia, ndr) ci abbiamo messo quattro o cinque giorni, e altrettanti per rientrare. Questo vuol dire che siamo stati “fuori uso” per almeno 10 giorni. Evidentemente questa del doppio porto è una mossa per minimizzare il tempo dedicato al soccorso vero e proprio e lasciare così spazio di azione alla cosiddetta guardia costiera libica. Purtroppo è un gioco politico. In questo momento ci stiamo dirigendo di nuovo verso l’area di ricerca e soccorso.

Ma perché vi tengono lontani?

Non succede solo in Italia. È così in tutta Europa. Non è tanto per le persone che mettiamo in salvo (l’anno scorso solo il 10%) ma per quello che vediamo. Noi siamo quelli che vedono ciò che non fanno le istituzioni. Se non fossimo lì con le nostre navi, nessuno saprebbe nulla... basta pensare ai silenzi sul gommone rimasto in mare per sette giorni senza soccorsi... Questi naufragi si vengono a sapere solo perché c’è la nostra presenza.

Cosa succede negli altri Paesi?

La situazione italiana non è isolata, come dicevo. In questo momento in Spagna succede la stessa cosa. Si vuole nascondere quello che accade alle Isole Canarie: non danno informazioni precise, minimizzano sui naufragi e sul numero dei morti.

Quali soluzioni si possono individuare, per evitare altre tragedie?

I naufragi continuano a succedere perché manca un sistema di ricerca e soccorso nel Mediterraneo e perché dal 2017, da quando cioè la Guardia costiera italiana si è ritirata dalla zona Sar libica, la responsabilità è stata presa dai guardacoste di Tripoli, che non sono in grado di garantire la sicurezza. Vediamo tanta violenza da parte loro nei confronti delle persone che intercettano in mare. Manca un meccanismo come ad esempio quello che è stato un giorno “Mare Nostrum” che, pur non essendo perfetto, aveva la chiara intenzione di soccorrere le persone senza lasciare nessuno da solo.

Daniela Fassini

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«Nel Mediterraneo mancanza di trasparenza: serve subito un altro “Mare Nostrum” per salvare vite»

Juan Matias Gil di Msf

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