L’INVITO DEL NATALE A CONFRONTARSI CON UNA DOMANDA: E SE FOSSE VERO?
GIUSEPPE
TANZELLA NITTI
Il significato profondo dell’annuncio cristiano per credenti e non
«In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra… Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo» (Lc 2,1-7). Il Natale ci consegna una storia. Una storia narrataci durante la nostra infanzia. Una storia nata da un annuncio, che ha cominciato a propagarsi nel bacino del Mediterraneo verso la metà del I secolo della nostra era. Un annuncio raccolto in alcuni documenti scritti nella seconda metà del I secolo e all’inizio del II. Stando alla conosciuta pagina del vangelo secondo Luca, l’episodio riportato appare come la nascita di un bambino, una delle tante nascite, anche se più disagevole di altre a motivo del luogo in cui Maria dà alla luce.
Cosa è veramente avvenuto a Betlemme? Chi è questo bambino? In realtà, il primo scritto che fa riferimento a questa nascita non è il vangelo di Luca, bensì un brano della lettera di un rabbino ebreo, Paolo di Tarso, cittadino romano, discepolo di Gamaliele, indirizzata ad una comunità della provincia romana della Galazia, nell’attuale Turchia, attorno all’anno 55: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio (Theòs) mandò il suo Figlio, nato da donna… perché ricevessimo l’adozione a figli » (Gal 4,4-5). Ciò che poteva sembrare, stando alla lettura del vangelo di Luca, solo la nascita di un bambino fra tanti, nella lettera di Paolo di Tarso, ebreo che adora un solo e unico Dio, acquista un rilievo inaspettato: Dio creatore del cielo e della terra invia suo Figlio nel mondo, come uomo nato da donna.
Un altro autore ebreo, anch’egli rigidamente monoteista, di nome Giovanni, un pescatore di Galilea appartenente ad una famiglia sacerdotale di Gerusalemme, scrive prima della fine del I secolo: « In principio era il Verbo (Lógos), e il Verbo era presso Dio (Theòs) e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste… E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità… Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato » (Gv 1,1-3.14.18). Giovanni, ebreo, prende in prestito dalla filosofia greca il termine Lógos: ragione, parola, intelligenza. Afferma che questo Logos è Dio e Figlio di Dio, e si è fatto carne, è diventato uomo.
Un terzo documento, indirizzato ad una comunità ebraica, datato fra la fine del I e l’inizio del II secolo, attribuito ad un discepolo di Paolo di Tarso, poi conosciuto come Lettera agli Ebrei, ci trasmette lo stesso annuncio: « Dio (Théos), che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo. Questo Figlio, che è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza e sostiene tutto con la potenza della sua parola» (Eb 1,1-3).
La sostanza di questo annuncio può essere così riassunta: Il Logos, la ragione di cui parlavano i filosofi greci, la Parola intelligente e creatrice, di cui parlavano gli ebrei, l’Uno che gli uni e gli altri ponevano all’origine di tutte le cose, si è fatto uomo, uomo nato da una donna che lo ha dato alla luce, ed è venuto ad abitare in mezzo a noi. Questo Logos è il Figlio eterno di Dio (Theòs), consostanziale al Padre, è la Parola che ha fatto il mondo, lo sostiene. Attraverso questa Parola, Dio si rivolge agli uomini con parole umane e parla con loro.
I cristiani ricordano ogni anno questo annuncio sotto forma di una storia. Di fronte ad esso dovremmo porci una domanda che accomuna tutti, credenti e non credenti: E se fosse vero? I credenti dovrebbero chiedersi con responsabilità: Se fosse vero, io credente, continuerei a vivere come vivo? Mi rendo conto di ciò che questo annuncio, se fosse vero, implicherebbe per la mia vita? Per la mia visione del mondo e della storia, ma anche per il mio lavoro di tutti i giorni? Anche i non credenti si interrogano, perché le fonti di questo annuncio posseggono un linguaggio e un contesto storico che lo rendono assai diverso dal modo in cui vengono trasmessi i miti. In tutti, credenti e non credenti, questa storia genera una santa nostalgia, un eterno stupore, un brivido che fa loro dire: “sembra quasi troppo bello per essere vero…”. E se fosse vero?
Se fosse vero che il Verbo di Dio si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi, allora vuol dire che l’essere umano non è più solo, che dietro il mondo e nel fondamento del mondo vi è un Creatore personale che ha guardato verso di noi. Vuol dire che c’è finalmente Qualcuno che raccoglie le mie lacrime e dà un fondamento alla mia speranza di un amore e di una gioia eterni, senza fine. Vuol dire che in tutti i frangenti della mia vita: famiglia, lavoro, amicizie, ma anche sofferenza e perfino nel travaglio della morte, non sono più solo, perché Dio si è fatto uomo ed ha assunto di sé una vera umanità, la mia stessa umanità.
Se è vero che il Verbo si è fatto carne, che Dio si è fatto uomo ed è venuto ad abitare in mezzo a noi, allora tutto ciò che è umano è adeguato per essere assunto da Dio. Vuol dire che il sudore, il lavoro, ma anche i sentimenti umani, l’amore, la gioia, l’amicizia, la natura, la cultura, la bellezza, la buona musica, il profumo dei fiori e i sapori della buona cucina, il sorriso di una madre, il volto della persona amata, il sorriso di un bambino, mi portano a Dio, possono parlarmi di Dio. Vuol dire che l’universo è stato creato per preparare la carne del Suo creatore e diventare Sua degna dimora. Vuol dire che l’essere umano può parlare con il suo Dio come un uomo parla ad un amico. Vuol dire che ogni essere umano può mostrarmi il volto di Dio.
Se questo annuncio è vero, allora Myriam di Nazaret, madre di Gesù, è la donna più bella del mondo, perché Madre dell’Autore della bellezza. La frase che Luca, nel suo vangelo, mette sulla bocca del messaggero divino che si dirige a questa donna: Ti saluto kecharitoméne, il Signore è con te, e che traduciamo “piena di grazia”, vuol dire proprio “bellissima”. Sei la persona che più “ha grazia”, “sei l’aggraziata”. La più bella fra le donne. Anche questa bellezza è parte del brivido che l’annuncio del Natale ogni anno ci procura. Noi cristiani siamo i custodi di questo fremito divino. E come la domenica di Pasqua annunciamo Surrexit Dominus vere!, così la notte di Natale confessiamo al mondo, in ginocchio: Et Verbum caro factum est!
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