Grazie a Zuppi: il lavoro e la sua tutela devono restare un gran tema pubblico
Scripta manent
Gentile direttore, le scrivo prendendo spunto dalla pubblicazione della straordinaria lettera che il presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi, ha indirizzato alle persone che operano nelle Istituzioni e che “Avvenire” ha pubblicato il 2 giugno scorso, in occasione della Festa della Repubblica. Desidero riprendere i valori e gli insegnamenti di quel testo: l’appello alla dignità di una nazione democratica ed evoluta come l’Italia, dove le persone non possono continuare a morire sul lavoro o ad ammalarsi o a restare invalide per condizioni di lavoro non adeguate. Secondo i dati pubblicati da Inail, in Italia ogni anno continuano a morire per infortuni sul lavoro oltre mille persone (circa tre al giorno), uno zoccolo apparentemente impossibile da scalfire. «Nel periodo compreso tra gennaio e dicembre 2021 si sono rilevate complessivamente 555.236 denunce di infortunio, lo 0,16% in più rispetto al 2020. Le denunce di infortunio con esito mortale sono state 1.221, a fronte delle 1.270 rilevate nel 2020 (-3,86%)». Nel periodo compreso tra gennaio e marzo 2022 si sono rilevate complessivamente 194.106 denunce di infortunio, il 50,85% in più rispetto al periodo gennaio-marzo 2021 (anche questi dati Inail). Non bisogna dimenticare che infortuni e ma-lattie sul lavoro, oltre a togliere la vita, a volte la frenano irrimediabilmente; sono circa tre milioni i diversamente abili in Italia e 531mila sono titolari di rendita Inail. Come si possono ridurre gli infortuni e le malattie professionali? La parola determinante è prevenzione, al cui interno devono calibrarsi organizzazione, formazione, sostegno consulenziale, tecnico ed economico al mondo del lavoro e capacità di imparare da quelle situazioni che avrebbero potuto portare a un infortunio, che solo per caso non si è verificato (i cosiddetti, “quasi infortuni”). C’è una proposta di legge (C. 1266) che, nonostante gli apprezzamenti espressi nella Commissione parlamentare competente, giace anch’essa in un mare di parole.
Il cardinal Zuppi ha ricordato che la Costituzione italiana deve essere un punto di riferimento per tutti, laici e cattolici, e va attuata pienamente, a partire dall’art. 1 che definisce la Repubblica «fondata sul lavoro» (e a seguire, dagli articoli 38 e 41). Non si può neppure dimenticare che la Dottrina sociale della Chiesa cattolica, già attraverso le encicliche Rerum Novarum (1891) e Laborem Exercens (1981) e sino ai testi più recenti, ha affrontato e approfondito il tema delle disuguaglianze e della sicurezza sul lavoro e il sostanziale “fallimento del mercato” per quanto riguarda la prevenzione e sicurezza sul lavoro, che pertanto è, e deve restare, un tema “pubblico”. Mi associo, perciò, alle indicazioni del presidente della Cei e, anche a nome e Federazione che servo, concludo con un’esortazione ai nostri concittadini e specialmente ai credenti. La dignità e la sicurezza dei lavoratori, per qualunque persona abbia responsabilità (imprenditore, dirigente, sindacalista, legislatore e governante...), è infatti un dovere morale e costituzionale, ma per un cattolico è molto di più. E tale proposito non è certamente inutile ricordare che nel Catechismo, fin dai tempi di san Pio X, è un peccato assai grave «defraudare della mercede gli operai», figuriamoci come può essere interpretato il non salvaguardare la loro vita o il togliergliela tragicamente.
Tiziana Cignarelli
segretaria generale della Flepar (Federazione dei professionisti pubblici)
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