SHARE Share Button Share Button SHARE

IL DILEMMA TRA NUOVO E RILEVANTE: COSÌ IL GIORNALISMO CERCA LA SUA VIA

GEROLAMO

FAZZINI

Cosa insegna il caso-Roccella agli Stati generali della natalità

«Di questa cosa si parlerà per tre giorni, mentre il tema della denatalità ce lo porteremo dietro per anni ». Mi ha colpito un passaggio dell’intervista a Gigi de Palo, uscita su queste colonne lo scorso 9 maggio. La «cosa» in questione è la polemica sul caso-Roccella, di cui Avvenire ha dato conto. Ebbene: sono passati pochi giorni e l’oblio mediatico è, giustamente, calato su quella vicenda che ha visto protagonista, suo malgrado, la ministra per la Famiglia. Ma, ahinoi, non è certo venuta meno l’importanza della questione- demografica in sé, a lungo rimossa dai media mainstream.

Nelle stesse ore in cui si consumavano le polemiche attorno agli Stati generali della denatalità, al Salone del libro a Torino si è tenuto un interessante incontro sull’Impact Journalism, tappa di un percorso volto ad approfondire come il giornalismo possa contribuire a promuovere il cambiamento per affrontare le sfide attuali. In quella sede, Mario Calabresi ha sottolineato l’urgenza di adottare un diverso modello giornalistico, più orientato alla soluzione dei problemi e non solo alla denuncia. L’ex direttore di Stampa e Repubblica ha lanciato una stoccata: «Nessuno dei grandi giornali internazionali presenta mai una homepage con una lista di fatti di cronaca nera, come invece accade diffusamente in Italia». Non un’accusa gratuita, quanto piuttosto la segnalazione di un ma-lessere: il fatto, cioè, che i media di casa nostra siano ancora troppo vincolati al «mercato dell’emotività» (Censis), alle logiche del click baiting e dei temi “di tendenza”. Calabresi ha messo in luce la tentazione costante del giornalismo italiano a inseguire i fatti di cronaca, puntando quasi esclusivamente sul “nuovo”, ma – di fatto – dimenticando spesso di offrire una cornice necessaria per capire la rilevanza effettiva, il peso specifico degli eventi.

In tal modo, è dietro l’angolo il pericolo di trasmettere ai cittadini-utenti semplici emozioni più che argomenti razionali. Curiosa coincidenza: sempre al Salone, è stato accolto come una vera rockstar il giornalista statunitense Ben Smith, oggi direttore di Semafor, un progetto giornalistico innovativo. Da poco in Italia è stato pubblicato il suo libro Traffic, provocatorio saggio sulle logiche adottate dai new media negli Usa. Intervistato da Avvenire alla vigilia della dell’incontro torinese, Smith aveva affermato: «Penso che il pubblico si stia ritirando dal caos dei social media. I lettori più sofisticati sono affamati di contesto ». Al Salone Smith ha poi spiegato come, per anni, lui ed altri giornalisti di successo si fossero concentrati sul farsi gioco dell’algoritmo di Google in modo da finire in cima ai risultati di ricerca. Ma ha aggiunto che, a lungo andare, questo ha minato la credibilità degli stessi giornalisti. Oggi «le persone sono stanche di essere manipolate» e quel che chiedono ai giornalisti non è più di inondarle di contenuti, bensì di «distillare » (sic!) le informazioni.

C’è un filo rosso che lega queste riflessioni? A me pare di sì ed è il fatto che un giornalismo che voglia dirsi “civile”, ossia utile al cliente-cittadino, non può mai perdere di vista la tensione fondamentale - mai risolta una volta per tutte - fra il racconto del “nuovo” e l’individuazione del “rilevante”. Non c’è una formula magica, ovviamente, valida per risolvere il dilemma una volta per tutte; semplicemente ciascuno, ogni giorno, è chiamato a fare i conti con la realtà e con la responsabilità che esercita. Le strade possono essere varie, ma la direzione di marcia mi pare chiara. Marco Pratellesi, allora condirettore di Agi, la spiegò così al Festival del giornalismo di Perugia: «Sia i giornalisti sia gli utenti hanno perso la capacità di condividere una descrizione della realtà. Dobbiamo smetterla di rincorrere click e guadagni facili», per poi aggiungere: «è indispensabile tornare ai fondamentali del giornalismo, ripristinare il ruolo dei fatti, la loro forza e il loro valore».

Era il 2017: da allora la questione si è fatta, se possibile, ancora più scottante.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

SHARE Share Button Share Button SHARE