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Gli invisibili presi in cura da medici volontari «Negli ambulatori la mediazione è preziosa»

ELISA

CAMPISI

In un Paese in cui accedere alle prestazioni sanitarie diventa sempre più complesso, le fasce di popolazione più vulnerabili risentono maggiormente delle iniquità. Gli immigrati sono tra queste: nascosti in sacche di esclusione sociale e difficili da raggiungere, il loro stato di salute riflette le condizioni di vita. «Spesso non conoscono neppure i loro diritti, non sanno a chi rivolgersi per le cure. Cerchiamo di farli accedere ai servizi che gli spettano sul territorio e diventiamo a tutti gli effetti i loro medici di base», Lucio Boattini, medico in pensione, è il direttore sanitario di un ambulatorio situato nella Caritas di Forlì e gestito dall’associazione di cui fa parte, “Salute e solidarietà”, che cura gli emarginati, come i senza dimora e gli stranieri senza permesso di soggiorno.

Grazie ai propri volontari l’associazione riesce a coprire quasi tutte le branche della medicina e a garantire anche visite specialistiche completamente gratuite. Tra i loro pazienti ci sono molti immigrati non in regola con le norme di ingresso e permanenza in Italia: « Alcuni hanno il codice di identificazione Stp (Straniero temporaneamente presente), che aiuta ad avere un po’ di assistenza, altri sono completamente invisibili». Si rivolgono all’associazione soprattutto per problemi che potrebbero essere risolti con un medico di famiglia, come un’influenza o un disturbo dermatologico, ma anche per malattie croniche che nel Paese d’origine e nel lungo viaggio migratorio sono state trascurate. « Nella maggior parte dei casi, vengono nel nostro ambulatorio solo una volta perché poi si spostano in altre città per il lavoro. È complicato garantire una continuità », aggiunge. Al di là delle patologie, i volontari provano a interpretare i bisogni del paziente in senso più ampio, materiali e non: « Molti all’apparenza sembrano sani, ma non si può certo dire che siano persone in salute nel senso più alto». La frequenza dei disagi psichici – scaturiti dal sommarsi di condizioni di partenza, viaggio e permanenza nel nostro Paese – Boattini l’ha potuta sperimentare soprattutto nei Cas, Centri di accoglienza straordinaria, dove l’associazione assiste i nuovi arrivati. « Ricordo per esempio un ragazzo che non scendeva mai dal letto e non parlava con gli altri. Fisicamente stava bene, ma il percorso migratorio lo aveva provato così tanto che non aveva più forze», racconta. Di realtà che come l’associazione di Forlì offrono cure agli immigrati ne esistono svariate in tutto il territorio nazionale. Gran parte di queste ha contribuito alla nascita della Società italiana di medicina delle migrazioni (Simm), un network che permette di condividere le buone pratiche ed esercitare pressione sulle istituzioni per garantire il diritto all’assistenza sanitaria agli stranieri. « Abbiamo contato circa 140 realtà italiane con caratteristiche specifiche che garantiscono assistenza di base a chi è escluso o ha difficoltà di accesso al Ssn come gli immigrati – spiega il medico Leonardo Mammana, del direttivo della Simm – . Sono ambulatori delle Usl o del Terzo settore, di matrice sia cattolica che laica. Tuttavia il numero è sicuramente sottostimato ».

Si tratta perlopiù di strutture, mobili o fisse, pubbliche o private, che provano a colmare un vuoto. L’impossibilità di accedere alle prestazioni sanitarie è data infatti da tanti fattori. La legge riconosce a tutti le cure urgenti o essenziali, continuative e non, per ma-lattia, infortunio, prevenzione e tutela della salute materna e infantile. Il paziente che vive irregolarmente sul territorio ha la garanzia di non essere denunciato. Nella pratica, però, per far valere il diritto alla salute di qualunque straniero serve ben altro. « L’accessibilità degli ambulatori specializzati è data dalla possibilità di avere delle informazioni nella propria lingua che vengono effettivamente spiegate, e non semplicemente tradotte, da un mediatore culturale – puntualizza Mammana – . Pensiamo poi a quanto conti avere delle strutture con orari permissivi per lavoratori precari che non possono assentarsi, situate in prossimità delle periferie in cui abitano e che sono quelle con meno servizi. Il tutto con la certezza di non dover pagare anche se indigenti». In mancanza di questi presidi gli immigrati, a prescindere dal loro status, devono interfacciarsi con aziende sanitarie che interpretano la legge in modi divergenti, allontanando ancora di più il paziente già in difficoltà: « Il percorso di cura e prevenzione è disincentivato dall’assenza di formazione del personale, di cartellonistica e siti online tradotti in più lingue. Il servizio sanitario dovrebbe promuovere di più l’accessibilità, anche quella di chi si trova in condizioni giuridiche precarie». Se le istituzioni per prime fanno orecchie da mercanti di fronte a una disuguaglianza già più volte denunciata, non ci si può sorprendere poi quando gli stessi immigrati non sanno che in Italia tutti hanno diritto alla salute, persino gli ultimi.

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A Forlì l’associazione “Salute e solidarietà” segue gli stranieri senza permesso di soggiorno e i senza dimora

I medici volontari di Forlì

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