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«Ho 4 figli e 3 sono al fronte. Noi nel kibbutz aiutiamo i soldati»

Angelica: «Eravamo 450 siamo rimasti in 200. Mio marito si occupa della sicurezza Fabbrichiamo giubbotti antiproiettile»

Tel Aviv

Il kibbutz Sasa sta a un chilometro soltanto dall’”altro” fronte: quello con il Libano. È conosciuto in tutta Israele per due “specialità”: la produzione di mele e la straordinaria attività di promozione del dialogo interculturale tra ebrei, musulmani, cristiani e drusi. Ora ne ha una terza: sopravvivere alla minaccia di Hezbollah. Da sabato scorso, quando è iniziato il feroce attacco di Hamas nelle aree sul confine con Gaza, anche le comunità del nord sono state messe in allerta. Le forze di difesa israeliane si stanno attrezzando per affrontare un eventuale attacco dal Libano. Alcuni miliziani di Hezbollah si sono già infiltrati, cercando di attaccare il kibbutz Adamit, nei pressi di Rosh Hanikra: 4 guerriglieri su 5 sono stati fermati dall’esercito.

«Quel Kibbutz si trova a pochi chilometri dal nostro. Tutti sono stati bombardati a raffica lunedì – ci racconta Angelica Edna Calò, membro del Kibbutz Sasa dal 1975, docente al Teh Hai College di Kiriat Shmone e fondatrice del Teatro Arcobaleno, che promuovere il dialogo –. A ogni sospetto andiamo nella stanza antimissili. E siamo fortunati ad averne una, perché la nostra è una casa relativamente nuova, le altre non ce l’hanno». Sono i “veterani” come Angelica e suo marito a tenere le redini del kibbutz, perché le famiglie con bambini sono state evacuate: chi al kibbutz Sdot Yam, a metà strada tra Tel Aviv e Haifa, chi da amici e parenti che vivono nel centro del Paese. « Normalmente in questo kibbutz vivono 450 persone, ma al momento siamo rimasti solo 200, di cui una ventina, coordinati da mio marito che è il responsabile della sicurezza, si occupano della difesa interna. All’esterno, e in tutta la zona limitrofa, ci sono una cinquantina di soldati. Ci aiutiamo a vicenda. Noi gli portiamo da mangiare, vestiti pesanti e coperte per la notte. In questa situazione di emergenza l’esercito da solo non ce la fa. Loro proteggono le nostre vite e noi facciamo di tutto il possibile per loro». Gli altri grandi assenti nel kibbutz sono i ragazzi tra i 20 e i 40 anni, che sono stati richiamati come riservisti. Dei quattro figli di Angelica, tre ora si trovano al confine con Gaza, e non sanno ancora se e quando entreranno. Il quarto si sarebbe arruolato, ma non può perché ha superato i quaranta anni (limite di età per partecipare alla riserva). Tutti gli israeliani, compatti, stanno partecipando allo sforzo per difendere il Paese.

Un’adesione senza precedenti, che comporta anche qualche difficoltà. « Nell’unità di nostro figlio Kfir mancano, per ora, i giubbotti antiproiettili», dice Angelica. Suo marito, come molti altri padri di famiglia, sta cercando una soluzione alternativa: hanno trovato una fabbrica che, vista l’emergenza, è disposta a produrli a un costo accessibile. È già cominciata la raccolta fondi, una delle tante attività di supporto all’esercito da parte del popolo israeliano. « Negli ultimi mesi il governo era troppo preso a occuparsi di sé stesso o dei coloni, è si è dimenticato di tutti coloro che vivono nei kibbutz, al nord e al sud, nei punti, da sempre, più sensibili del Paese. Ancora non si sa ha una lista definitiva né dei morti, né degli ostaggi, né dei dispersi. Per riprendersi da questo doppio trauma, quello dell’attacco esterno e quello della frattura interna a Israele, ci vorranno anni».

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