Quei tre amici, lontani ma vicini «La Parola è ciò che ci unisce»
Che posto possono avere le nuove generazioni in una Chiesa davvero sinodale? I giovani del Comitato nazionale del Cammino sinodale hanno provato a immaginarlo a modo loro. Ne è uscito un racconto, che non fornisce “formule” ma tratteggia un’esperienza di vita, radicata nell’unica parola in grado di unire tutte le sensibilità: quella di Dio.
Se volessimo raccontare la nostra esperienza di giovani all’interno del Comitato sinodale, potremmo partire da questo racconto. Roma, un bus sgangherato. Un anziano mormora: « Noi tutti che abbiamo la fortuna di credere di capire le cose... ma da un po’ di tempo la nostra Chiesa ha difficoltà a capire le cose». È il protagonista di Habemus papam. Potrebbe essere anche lui un delegato al Cammino sinodale. Ma questa difficoltà, da dove viene? Non ha età, perché è anche dei più giovani. François Roustang parlava nel 1967 di un “terzo uomo”, noi vogliamo parlare di tre giovani. Ma che ci fanno qua tre giovani?
La Chiesa ha bisogno di tempo per cambiare. Bisogna spingersi oltre i confini e portare pazienza, uscire e restare fuori: il Regno di Dio, che è già in mezzo a noi, per troppi è oscurato dall’inferno della guerra, della povertà, del neocolonialismo, dell’emigrazione, dell’esclusione a motivo della propria identità, che sia il genere, l’orientamento sessuale, l’etnia, il colore della pelle. Nel frattempo però i tre giovani diventeranno grandi, poi anziani. E poi?
C’è un mondo che non ci aspetta più. Il primo giovane grida: « Bloccate tutto, bloccate tutto, non c’è nulla da cambiare. Bisogna tornare a essere duri, come una volta. Meglio pochi ma buoni! E coi bambini, ogni tanto qualche sgridata ci vuole. Buoni sì, mai buonisti!». Così duro, così rigido, che non fa andare nessuno al bagno, perché se no si sporca.
Il secondo ha con sé una tanica di benzina e grida più forte: « Bruciate tutto, bruciate tutto! Qui faremo uno spazio nuovo, ripartiamo da zero » . E non si accorge che così brucia anche la sua maglietta e la sua casa.
Ce n’è un terzo, e siamo noi. Abbiamo lasciato il divano, stiamo in ascolto, vorremmo convincere questi due che si gridano contro. È il terzo giovane, il giovane del dialogo, compassionevole, inquieto e solidale, capisce l’uno e l’altro, ascolta l’altro e l’uno, e sa che all’una avranno fame tutti e tre. Conosce un po’ la storia di ciascuno: chi ha sofferto per la violenza del quartiere, e non solo; chi non ne può più di una condizione irrespirabile a casa e a scuola; chi ancora dice poco, ma sorride molto e delle ferite ha fatto feritoie; chi lavora e si affatica dietro agli esami, ma senza molti risultati. Il terzo giovane pensa: perché litigano? Perché non vogliono più vedersi? Com’è che non riescono più a parlarsi?
Questa scena non è mai capitata. Né negli hotel a quattro stelle dove si sono tenute riunioni sinodali, né nelle sale parrocchiali dove la sera si sentiva dire: « Non ci sono più i giovani, perché non gli va!» Questo quadro però parla a ciascuno di noi, che abbiamo visto questo percorso svilupparsi e recuperare prima la parola ascoltata e poi la parola detta. «Una parola ha detto il Signore, due ne ho sentite» (Sal 62,12). Quante e quali parole ascoltiamo? Quali parole pronunciamo o proponiamo?
La Parola ha molto da dirci: nessuno di questi due giovani la conosce a fondo. Neanche il terzo. Senza saperlo, la vivono già. L’avranno ricevuta qualche volta ma poi se la sono persa tra mille impegni. C’è chi invece ha dimenticato come si legge, come si sta insieme, perché nessuno gli ha mai dedicato tempo e calma per ascoltarlo.
Qual è il grande problema? L’assenza di un dialogo, la presenza di troppe grida: ognuno parla parla parla, ci parliamo addosso, senza mai fermarci ad ascoltare. Se questi due giovani si incontrassero? Se questi due finalmente si parlassero? Non basta però uno spazio aperto, un pallone e un’area verde. Però basta una Parola che non sia nostra. Abbiamo una Parola autorevole, da riscoprire.
Facciamoci da parte e creiamo uno spazio per starci tutti e tre. Che io sia il primo, il secondo o il terzo, sono sempre invitato, sono già implicato. Nel Regno, nella Parola, c’è una voce e un posto per ciascuno. Siamo chiamati a prenderci cura del tempo e degli spazi che viviamo, e lì troveremo altri, insieme, che discutono delle stesse preoccupazioni e aspirazioni, di ciò che li accomuna. Che nome dare a questo spazio? Pace a tutte, pace a tutti, pace a tutto. Pace! Il terzo giovane inizierà: “pace”. Li incontrerà ogni settimana, senza prenderli di petto, metterà le differenze al tavolo della convivialità, inviterà gli anziani e i senza dimora a pranzo con loro, troverà le lasagne per tutti quanti, farà una raccolta di coperte e continueranno insieme. Sempre ascolterà, gli altri e la Parola, la Parola e gli altri. Non saranno più il primo, il secondo, il terzo giovane. Saranno un’unica Parola agli altri.
I giovani del Comitato nazionale del Cammino sinodale
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Il primo dice «fermate tutto», il secondo «bruciate tutto» e poi c’è il terzo che ascolta e, nei gesti della vita vissuta, ritrova il giusto ago per ricucire gli strappi e tornare a fare comunità