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«Gli abusi liturgici vengono da una falsa libertà Serve fedeltà a ciò che è stabilito dalla Chiesa»

Gli abusi nel campo liturgico? «Si radicano in un falso concetto di libertà, in un distorto utilizzo degli ambiti di adattamento che la stessa liturgia prevede, in una smodata ricerca della novità a tutti i costi». E «la dimensione misterica della liturgia, che collega direttamente la Chiesa e le celebrazioni sacramentali con l’evento salvifico di Cristo, esige un atteggiamento di fedeltà nei confronti di ciò che nella celebrazione sacramentale è stabilito, e quindi non soggetto a mutazioni o a mutabilità, e che nella liturgia è norma valida, quale segno di riconoscimento di una celebrazione come “liturgia della Chiesa” e non prassi privata di un particolare sacerdote ». Così ricorda monsignor Maurizio Barba, docente del Pontificio Istituto Liturgico di Roma, in un’intervista rilasciata all’agenzia Sir su Gestis verbisque, la recente nota del Dicastero per la dottrina della fede sulla validità dei sacramenti.

«Ogni sacramento è caratterizzato da una materia e da una forma sacramentale essenziale – rimarca il liturgista, sacerdote della diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca – un insieme di atti visibili e materiali, e di frasi pronunciate dal ministro, che è condizione necessaria per la validità del sacramento. San Leone Magno in uno dei suoi discorsi sull’Ascensione scrive: “ciò che […] era visibile nel nostro Salvatore è passato nei suoi sacramenti”. Ciò significa che i sacramenti sono la continuazione visibile nel tempo del nostro Salvatore, che con la sua Ascensione al cielo si è reso invisibile agli uomini».

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Monsignor Maurizio Barba

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