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I giovani e la fede: «C’è molta indifferenza, ma anche la ricerca di una Chiesa coinvolgente»

DI STEFANO DE PALO

In vista dell’incontro dei giovani con il vescovo promosso dalla Pastorale Giovanile in occasione della festa di San Francesco di Sales, che si terrà il 24 gennaio ad Albenga, abbiamo intervistato Antonio, un ragazzo di 17 anni della nostra diocesi che ha scelto di vivere con consapevolezza la propria fede.

Antonio, raccontaci qualcosa di te.

Mi chiamo Antonio, vivo a Pietra Ligure e frequento il terzo anno del liceo delle scienze umane a Finale Ligure. La mia passione principale è lo scautismo, che considero una parte fondamentale della mia vita. Frequento anche la parrocchia di Nostra Signora del Soccorso, dove ho ricevuto i sacramenti e ho partecipato al catechismo. Mi considero un credente, una scelta che, purtroppo, non è così comune tra i miei coetanei. I miei amici più stretti, che condividono la mia fede, li trovo proprio all’interno del gruppo scout. Tuttavia, anche tra loro non tutti si definiscono praticanti. Molti vedono la fede come una dimensione privata, senza sentire il bisogno di viverla in comunità. È una difficoltà che avverto anch’io: a volte è complicato sentirsi davvero parte integrante della Chiesa, un’istituzione che noi giovani fatichiamo a percepire vicina.

Parlare di Dio con gli amici è ancora un tabù tra i giovani?

No, anzi. Parlare di fede è spesso occasione di confronto aperto e stimolante. Tra i miei amici, credenti e non, non c’è imbarazzo ad affrontare argomenti legati a Dio o alla spiritualità. Certo, non sono molti quelli che si dichiarano credenti praticanti, ma non trovo nemmeno tanti che si definiscono atei o agnostici. È come se fossimo tutti in una posizione di apertura verso l’idea di Dio, anche se con qualche incertezza. Alcuni miei coetanei, però, non mostrano interesse per approfondire la questione. Questo non significa che evitino il confronto, ma piuttosto che lo vivono con distacco.

Qual è il tuo rapporto con le proposte di fede nella tua parrocchia?

Ho ricordi positivi legati alla comunità parrocchiale: gli incontri di catechismo e le attività proposte mi hanno arricchito e mi hanno fatto crescere. I sacerdoti e i frati sono sempre stati una guida preziosa. Tuttavia, non nego che a volte mi manchi l’entusiasmo. Alcune iniziative mi sembrano troppo teoriche e poco legate alla realtà quotidiana, e questo mi porta a viverle con apatia, come se fossero una perdita di tempo. Mi rendo conto che preferirei attività più pratiche e missionarie, che mostrino un cristianesimo vivo, capace di parlare davvero alla vita di noi giovani. Nonostante questo, ci sono state occasioni che mi hanno profondamente ispirato e aiutato a riscoprire la bellezza della fede.

Lo scoutismo ti aiuta in questo percorso?

Sì, moltissimo. Lo scoutismo offre una dimensione spirituale che sento più vicina al mio modo di vivere la fede. Partecipare al servizio, vivere i sacramenti e pregare con i miei amici, accompagnato da sacerdoti che sanno dialogare con i giovani, è per me molto significativo. Le celebrazioni durante i campi scout sono un’esperienza profonda e coinvolgente, diversa dalle Messe parrocchiali, che a volte trovo più distanti dalla mia sensibilità. Nel nostro gruppo scout viviamo momenti di preghiera, leggiamo la Scrittura e organizziamo campi spirituali in preparazione a Natale o Pasqua. Inoltre, ogni giovane scout lavora su sé stesso, ponendosi obiettivi legati al rapporto con Dio, con gli altri e con la comunità. Questo percorso mi aiuta a vivere la fede in modo concreto e personale.

L’esperienza di un diciassettenne che nel gruppo scout trova amici e possibilità per fare un cammino spirituale

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