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La carità ? È frutto di «una comunità che prega»

DI GIUSEPPE MUOLO

Bea ha gli occhi della curiosità, vuole fare subito amicizia. È in braccio a sua mamma, mentre Gabriel, suo fratello, entra di corsa in sala da pranzo. Si va a nascondere dietro il divano in segno di protesta. Farfuglia qualcosa e gesticola in direzione della madre. Ce l’ha con lei, gli ha appena spento i videogiochi. Ma lui non ha fame, dice, vorrebbe rimanere nella sua stanzetta per tutto il pomeriggio. Momenti di straordinaria normalità, in un luogo dove si intrecciano storie che di ordinario hanno ben poco. Ci troviamo nella casa-famiglia della parrocchia di San Frumenzio. Qui, grazie all’impegno e ai contributi di quaranta volontari e sei famiglie, dal 2010 vengono accolte mamme in difficoltà con i loro bambini. La tavola è apparecchiata, ma Nuha non si unirà al pranzo. È nella sua stanza a pregare. Fino al tramonto non può mangiare, sta rispettando il Ramadan. È riuscita scappare dal Sudan con sua figlia. Era la quarta moglie e veniva maltratta quotidianamente. Come Anna, la madre di Bea e Gabriel, per anni violentata fisicamente e psicologicamente dal marito, che ancora oggi non smette di tormentarla. Sarah invece non è in casa in questo momento. Viene dalla Nigeria. È arrivata con un barcone, mentre era incinta di sua figlia. Durante il viaggio, ha visto morire sua nipote di 18 anni.

L’immagine è ancora fresca nella sua mente. Con lei e con le altre mamme e i loro bambini si è fermato a cenare giovedì sera il cardinale vicario Baldo Reina, che è tornato anche venerdì per la visita pastorale nella parrocchia. San Frumenzio è uno dei cuori pulsanti del volontariato di Roma. La casa famiglia è solo una delle tante attività della comunità. Gli appartamenti occupano due piani della “Casa della Carità”, un edificio adiacente alla chiesa dove i volontari si dedicano a molti altri progetti. Tra gli altri, il centro d’ascolto Caritas; un asilo nido solidale; il “Gruppo Goim”, che sostiene una missione in Mozambico; il servizio docce; la raccolta alimentare; il gruppo “Televita”, che si dedica agli anziani; lo sportello psicologico; lo spazio di ascolto “Tra le donne”, dove alcune volontarie si prendono cura di chi ha sofferto violenze; l’unità di strada, rivolta alle ragazze finite nei giri di prostituzione; i corsi di italiano per stranieri e l’accoglienza di rifugiati, in collaborazione con la Caritas e la prefettura. «Non siamo un’agenzia di servizi – racconta don Marco Vianello, il parroco –. Tutto questo è espressione di una comunità che prega, ascolta la Parola e cerca di condividere la propria testimonianza nei confronti delle situazioni di fragilità». L’impegno, aggiunge Raffaele Carbone, coordinatore della “Casa della Carità”, «è quello di essere uniti nella diversità, senza dimenticare mai l’evangelizzazione. Il pericolo è quello di perdere la dimensione della fede. Per questo motivo ci lasciamo guidare da momenti di preghiera comunitari». A fianco a loro, Anna Curzi, consacrata dell’Ordo viduarum della diocesi di Roma e responsabile della casafamiglia. «Non siamo una struttura di prima accoglienza. Le mamme possono affrontare con serenità il loro momento difficile senza limiti di tempo. L’obiettivo è indirizzarle verso una piena autonomia. Le aiutiamo a cercare lavoro, per poi seguirle nell’affitto o nell’acquisto di una casa». In questa prospettiva, conclude il parroco, «stiamo elaborando un progetto di accompagnamento che vorremmo diventasse un segno giubilare. È difficilissimo trovare chi è disposto a fidarsi di queste persone. Come comunità cristiana siamo pronti a diventare loro garanti».

Le tante anime della Casa portata avanti dai volontari di San Frumenzio, dall’accoglienza ai corsi fino all’unità di strada

San Frumenzio

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