«Ecco una giornata al Beccaria, senza disordini»
DON CLAUDIO
BURGIO
DON GINO
RIGOLDI
I cappellani dell’Istituto penale minorile milanese raccontano le difficoltà odierne e quelle future che aspettano i ragazzi
È possibile che fra qualche giorno abbiate notizia di un materasso bruciato o di una protesta dei ragazzi del Beccaria. Dopo qualche ora, verremmo intervistati da qualche organo di informazione, giornali o televisione. Vogliamo parlarvi dei ragazzi del Beccaria e il Beccaria fuori da ogni fatto di protesta o simili. La prima condizione da affermare è che al Beccaria arrivano gli adolescenti più in difficoltà , i più abbandonati, i più poveri di cultura fino ad arrivare all’analfabetismo, quelli che dormono dove possono e molti semplicemente in strada o in qualche ricovero provvisorio, alcuni molto piccoli. Sono giovani, appaiono pieni di energia e belli ma in verità sono e si sentono poveri.
Ancora più poveri sono i molti ragazzi che incontriamo, sempre al Beccaria, con gravi problemi psichici quando non ci siano tracce di sofferenza psichiatrica. Anche il tipo di reati si configura come reati della sopravvivenza, quelli di chi non ha né casa né lavoro né accoglienza... Ovvio che i reati vanno perseguiti come sarebbe ovvio avere per i ragazzi delle risposte vere e concrete. Tutti gli operatori, dal direttore agli educatori, ai formatori, gli e le agenti di Polizia penitenziaria, il cappellano, sono impegnati nella costruzione di un buon progetto educativo interno a partire dall’ascolto, per poi ragionare sulla risposta possibile e compatibile con i bisogni che i ragazzi esprimono.
Poi finalmente si esce dal Beccaria, per andare quasi mai in famiglia, più spesso verso comunità che fanno fatica ad accogliere perché sono quasi sempre strapiene e il posto c’è se qualcuno viene dimesso. Le comunità avrebbero molti più posti se in uscita, dopo un intervento educativo completo, non ci fosse una sorta di tappo che è la possibilità di avere una casa. A Milano o fuori, a trovarla. Milano ha molte case vuote del Comune da sistemare e mettere a disposizione. Ma ha anche le case vuote delle parrocchie, le canoniche non più utilizzate, gli istituti religiosi ormai vuoti. Si deve chiedere ed avere la certezza della gestione educativa e della vigilanza e questo si può chiederlo alle comunità anche perché già esistono esperienze di autonomia “accompagnata”. La casa potrebbe essere disponibile non solo per i giovani che escono dalle comunità ma anche per altri giovani lavoratori o studenti. Potete chiamarla come volete ma la povertà che noi troviamo al Beccaria è dura, difficile, vera ma con risposte possibili. Crediamo che Gesù si riferisse anche ai minori quando ha chiamato benedetti quelli che lo hanno aiutato in carcere.
Cappellano e cappellano emerito dell’Istituto penale minorile “Cesare Beccaria” di Milano
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«Qui tocchiamo con mano le povertà più vere; personale e volontari costruiscono buoni progetti educativi ma per chi esce trovare una casa è quasi impossibile»
Un corridoio del Beccaria di Milano