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IL CLAMORE SUI DRAMMI DEGLI ALTRI VERA PORNOGRAFIA DELLE EMOZIONI

PIETRO

PIETRINI

Le parole rubate dai media (non tutti...) al padre con il figlio in carcere

Nei giorni scorsi gran parte dei mass media ha riportato immagini e frammenti della conversazione intercorsa tra un figlio autore dell’omicidio della propria fidanzata e i suoi genitori, nel loro primo incontro in carcere.

Poche le testate che si sono astenute. Tra queste Avvenire che, in un bell’articolo a firma di Viviana Daloiso, si interroga sui limiti del diritto di cronaca e, nello specifico, sul cui prodest conoscere i dettagli più morbosi di accadimenti tanto tragici. A noi pare una vera e propria pornografia emotiva, volta solamente a eccitare la pancia più che a stimolare una riflessione critica e propositiva che possa, magari, portare ognuno di noi – nel suo ruolo di genitore o di educatore – a chiedersi cosa fare per evitare che fatti del genere continuino ad accadere.

Per non parlare poi della questione, tutt’altro che secondaria, di come possa essere divenuta ormai prassi consolidata che fatti e informazioni che dovrebbero rimanere custoditi all’interno di un ristretto ambito divengano invece di pubblico dominio in tempo reale. Eppure, tutti gli addetti ai lavori sono tenuti al segreto sulle operazioni che svolgono, compresi gli esperti e i tecnici incaricati da Procura o Tribunale. Per non parlare, infine, degli effetti deleteri che la continua fuoriuscita di notizie può avere sull’opinione comune, sobillata spesso da vere e proprie boutade giornalistiche che non sopravvivrebbero al semplice sfoglio – non dico alla lettura – degli atti di processo. Basti pensare, tra i molti, al recente clamore della asserita notizia sulla sentenza di annullamento della condanna all’ergastolo di un’omicida “perché stressato dal lockdown”, ben lontana dalle reali e concrete motivazioni della Suprema Corte. Effetti peraltro potenzialmente rilevanti, un vero e proprio cui nocet, considerato che nei processi di omicidio è chiamata a esprimersi una Corte composta anche da persone del popolo. Una Corte che dovrebbe addivenire alla propria decisione basandosi esclusivamente sugli atti che si formano nel corso del processo e non sullo stillicidio mediatico di mezze verità o di complete falsità. Non parleremo di tutto ciò, volendo qui soffermarci sull’essere umano al cospetto della tragedia. Il figlio che perde un genitore è un orfano, ma non esiste un termine per i genitori che perdono un figlio. In millenni di civiltà non ne abbiamo mai coniato uno, forse perché la morte di un figlio è un evento così contro natura che non vogliamo neppure dargli un nome. Ed è ancor più inconcepibile quando questo accade non per volere del fato ma per l’umano agire, come nel caso in questione. Un padre perde sua figlia per mano del figlio di altri genitori. Se esistesse un podio per le tragedie sarebbe difficile decidere a chi assegnare il gradino più alto. Lo stesso papà della giovanissima vittima, nella pacata dignità mostrata fin dall’immediatezza dei fatti, ha parole di commiserazione per i genitori dell’omicida, perché «il loro dolore è più grande del mio». Quante volte abbiamo sentito amici e conoscenti dire che tra le due, preferirebbero essere i genitori della vittima. Quante volte lo abbiamo pensato anche noi.

L’umanità si confronta con le tragedie più atroci fin dai suoi albori. Duemilacinquecento anni fa il teatro greco poneva i cittadini di fronte alla complessità degli abissi dell’animo umano e alla fragilità dell’esistenza. Le rappresentazioni tragiche insegnavano loro che la giustizia ha le sue regole volte a garantire l’ordine sociale, ma mostravano al contempo quanto la realtà della psiche umana sia piena di contraddizioni.

All’indomani di cotanto clamore mediatico il padre dell’omicida ha chiesto pubblicamente scusa per le parole che ha avuto per il figlio. Parole scaturite in uno stato d’animo che non sappiamo e non vogliamo neppure immaginare. Parole balbettate nel vano tentativo di un conforto impossibile. Parole non certo pensate né soppesate per una dichiarazione pubblica ma sottratte furtivamente al doloroso imbarazzo del primo incontro in carcere. Siamo noi, la società civile, che dobbiamo chiedere scusa a lui.

Professore ordinario Scuola Imt Alti Studi Lucca

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