La lettera.
FRANCESCA LOZITO
Che cosa è il metodo Stamina? Una domanda che in molti si pongono da mesi. Ma che suona davvero sorprendente se a porla – in un documento ufficiale – sono gli Spedali Civili di Brescia. La struttura, cioè, che il metodo applica, che le cellule fabbrica, che i pazienti “cura”. Ebbene, è il nosocomio lombardo a formulare il quesito il 13 agosto 2013. Al ministero della Salute. Una lettera arrivata sul tavolo della Lorenzin proprio nei giorni in cui prendevano il via i lavori della prima Commissione ministeriale incaricata di vagliare il lavoro di Vannoni. Due pagine in tutto, in cui si chiede di conoscere il contenuto del preparato. «Notizie di stampa – esordiscono i Civili – hanno dato rilievo all’avvenuta consegna da parte della Stamina foundation onlus della documentazione utile ai fini della sperimentazione promossa dalla legge 57 del 2013». Già da questo esordio si può evincere come i rapporti tra l’ospedale e la onlus torinese siano radi, a dispetto di quanto gli stessi vertici del nosocomio hanno sostenuto anche nei giorni scorsi: «A Brescia – nel documento si dice chiaramente – proseguono i trattamenti per effetto delle sentenze». Richieste a cui l’azienda deve ottemperare e per cui ritiene «importante» e «legittimo» acquisire il protocollo. Per poterlo valutare, insomma.
La lettera si conclude con una ulteriore osservazione: se le cell factories – cioè i laboratori deputati alla coltura delle cellule a uso terapeutico – hanno posto come condizione la conoscenza del protocollo per la sperimentazione (che poi verrà bloccata dal parere della stessa Commissione ministeriale) perché non lo può sapere anche Brescia? Che vuol dire: nonostante i trattamenti ai Civili vengano praticati dal settembre 2011, i vertici del nosocomio non hanno mai saputo che cosa veniva iniettato ai pazienti che venivano ricoverati nell’ospedale. Un fatto che ha dell’assurdo.
Come assurdo, oggi, è sapere che nonostante le cartelle cliniche degli stessi Spedali documentassero l’assenza di miglioramento nei pazienti, quelle “cure” siano proseguite.
D’altronde ancora molto resta da chiarire sul rapporto di collaborazione tra Stamina e l’ospedale pubblico lombardo. Nelle carte dell’ispezione ministeriale dell’ormai lontano maggio 2012 emerge che l’obiettivo era quello di creare «un centro di eccellenza per la cura con le cellule staminali». Su che basi, non è dato sapere, visto che una cell factory a Brescia non esiste. Da quell’ispezione conseguì poi il blocco della produzione delle cellule di Stamina, imposto dall’Aifa (l’autorità competente in fatto di protocolli con cellule ad uso terapeutico) con un’ordinanza del 15 maggio di quello stesso anno. Divieto poi aggirato dalle sentenze in base alla legge 57, che consente a chi lo ha iniziato di completare il trattamento Stamina. E che alla lista della trentina di malati in cura da Vannoni ha visto aggiungersene altri 150, oggi in attesa di infusioni in un ospedale che conterebbe – se le indiscrezioni verranno confermate – di almeno otto indagati nell’ambito dell’inchiesta del procuratore torinese Guariniello su Stamina.
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Dal carteggio, che risale all’agosto scorso, emerge che agli Spedali Civili nessuno conosceva il protocollo Vannoni

Il presidente di Stamina, Davide Vannoni