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DI LEONARDO BECCHETTI

L’ ultimo provvedimento da varare prima dello scioglimento delle Camere è la legge di stabilità che al suo interno contiene la tassa sulle transazioni finanziarie. Come sappiamo la proposta originaria del governo aveva messo a bilancio introiti per circa un miliardo, dei quali il 20% proveniente da un’aliquota dello 0,05% percento sulle azioni e l’80% proveniente da un’aliquota di medesimo livello sui derivati, pur mettendo in preventivo prudentemente un calo di gettito del 30% sulle azioni e dell’80% sui derivati a seguito dell’introduzione della tassa. Interessante rilevare che le proiezioni di gettito della tassa sui derivati da parte del governo sembravano piuttosto sottostimate. Infatti, nella relazione tecnica alla disegno di Legge è stato adottato quale indicatore di riferimento il valore nominale o nozionale dei derivati in essere alla data del 30 giugno 2011 e non il volume degli scambi.

Il modo in cui la proposta del governo era stata costruita presentava alcuni limiti ed essa è stata pertanto considerata emendabile. La modifica dovrà però essere a saldi invariati perché difficilmente il governo potrà rinunciare al gettito previsto. Numerosi sono gli emendamenti già presentati da diversi parlamentari cui ha seguito la proposta di emendamento presentata dal governo stesso.

Possiamo dividere le proposte di modifica depositate dai parlamentari tra quelle che ridurrebbero il saldo (esenzione dei market makers, riduzione dell’aliquota allo 0,01%, esenzione dei derivati di copertura, esenzione dal pagamento per i titoli quotati delle piccole e medie imprese) e quelle che lo aumenterebbero (innalzamento dell’aliquota allo 0,06%, tassazione per transazioni su titoli nazionali anche quando entrambi gli intermediari sono all’estero, tassa sul layering , ovvero quando il numero di ordini postati e non emessi diventa troppo elevato). Alcuni emendamenti propongono inoltre di differenziare l’aliquota aumentandola per le operazioni su mercati non regolamentati. La proposta di modifica avanzata dal governo avvicina la tassa italiana a quella francese per quanto riguarda le azioni. L’aliquota passa dallo 0,05 allo 0,2, i market makers e i titoli delle piccole e medie imprese quotate sono esentati (la soglia è 500 milioni e non un miliardo come in Francia) ed è prevista un’esenzione anche per i fondi pensione. La tassa è pagata anche da non residenti che scambiano titoli nazionali. C’è l’esenzione per chi compra e vende nella stessa giornata come in Francia e la tassa è dimezzata per gli scambi in mercati non regolamentati. La differenza rispetto alla proposta francese sta invece nella tassa sul layering

e quella sui derivati che da proporzionale diventa in ammontare fisso al di sopra di una certa soglia ed è prevista solo sulle azioni.

L’avvicinamento al modello francese per quanto riguarda il mercato azionario è per alcuni aspetti positivo. È interessante da questo punto di vista osservare che una prima valutazione d’impatto della tassa francese dimostra effetti di contrazione delle compravendite assai inferiori al 30% stimato dall’esecutivo per l’Italia e ben inferiori alle ipotesi catastrofiste di chi da tempo dice sia impossibile imporre una Ftt in un solo Paese per via del problema dell’elusione. In Francia dopo l’introduzione i volumi hanno registrato un -25% nel primo mese ed un rimbalzo addirittura ad un +40% nel secondo mese rispetto ai volumi pre-introduzione. Nostre stime sui 109 titoli francesi su cui la tassa si applica dimostrano anche che non ci sono significative riduzioni della liquidità ( bid-ask spread ).

L’articolazione dell’emendamento del governo sul fronte azionario si propone diversi obiettivi: mantenere invariato il gettito rispetto alla proposta iniziale, penalizzare chi opera su mercati non regolamentati e chi distorce il mercato con operazioni postate e non eseguite. L’esenzione dei market makers

che potrebbe essere il fattore che ha prodotto i buoni risultati in termini di liquidità sul mercato francese appare opportuna. Un elemento però decisamente negativo è l’esenzione della tassa per gli scambi intraday che salva le transazioni più speculative privilegiandole rispetto a quelle di più lungo respiro. Si tratta chiaramente di una contraddizione rispetto agli obiettivi della tassa. L’altro elemento delicato è quello relativo agli emendamenti nella parte sui derivati. I derivati azionari cui la tassa ora si limita rappresentano non più del 2% degli scambi e il passaggio da una tassa proporzionale sui piccoli quantitativi ad una fissa sui grandi quantitativi sembra voler penalizzare i piccoli rispetto ai grandi. Molto più difficile raggiungere così gli obiettivi di gettito previsto. Più opportuno, forse, sarebbe stato prevedere l’esenzione per i derivati di copertura e una tassa proporzionale ancorchè minore rispetto alla proposta iniziale per le operazioni puramente speculative per favorire un 'disarmo ordinato' delle stesse. Come ricorda il rapporto Liikanen in sede di Unione Europea il problema fondamentale del sistema finanziario oggi è l’intreccio perverso tra trading proprietario e banca commerciale e gli enormi rischi che questo ci fa correre in termini di stabilità. Con il ricatto del salvataggio obbligatorio che la banca che fallisce per operazioni spericolate di finanza derivata impone sugli stati per via dell’esigenza di salvaguardare i depositanti (come accaduto nel Regno Unito con la Royal Bank of Scotland). La tassa deve dare un segnale importante in questa direzione e rappresentare il primo passo di una riforma che prevede come ulteriore momento decisivo (secondo quanto auspicato dalle più importanti commissioni indipendenti in materia) la separazione tra banca d’affari e banca commerciale.

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