Sudan: la tempesta perfetta della guerra e la crisi umanitaria più grave del globo
PAOLO
LAMBRUSCHI
Venti mesi di scontri armati hanno portato alla cronica carenza di cibo in alcune zone, mentre un terzo della popolazione è stata sfollata Almeno 1,5 milioni vivono da tempo in campi profughi L’impegno di Sant’Egidio
Venti mesi di guerra hanno distrutto il Sudan provocando nel silenzio generale la più grande crisi umanitaria del globo. Lo afferma l’International Rescue Committee, sostenendo che la popolazione sudanese rappresenta il 10% di coloro che necessitano di aiuti umanitari a livello globale, mentre la sua popolazione costituisce solo l’1% della popolazione mondiale. Le vittime di questa tempesta perfetta, secondo diversi osservatori, sarebbero almeno 150.000.
Il conflitto di potere scoppiato tra i due generali al-Burhan, capo di stato maggiore delle forze armate sudanesi, e Mohamed Dagalo, capo dei paramilitari delle Rsf, gli ex Janjaweed, autori del genocidio in Darfur 20 anni fa, scoppiato il 15 aprile 2023 è degenerato grazie a potenze straniere. Finora la guerra civile ha lasciato oltre la metà della popolazione sudanese – che sfiora i 50 milioni – dipendente dagli aiuti umanitari, mentre un terzo circa è stata sfollata e almeno 1,5 milioni vivono in campi profughi in Paesi poveri limitrofi come Ciad, Etiopia, Sud Sudan. Campi sovraffollati dove, secondo il Programma alimentare mondiale dell'Onu, almeno la metà delle persone non ha abbastanza cibo. Secondo l'Unhcr, oltre il 30% dei bambini rifugiati sudanesi sotto i cinque anni in questi campi soffre di ritardo della crescita a causa di malnutrizione e il tasso di mortalità infantile è alto. L'Unicef riferisce che oltre il 60% dei bambini in età scolare non ha accesso a istruzione e cure mediche primarie.
In Ciad nei campi lungo il confine che ospitano oltre trecentomila rifugiati sudanesi, anche se sono stati progettati per meno di 100.000, operano Caritas italiana e Caritas Ambrosiana che attraverso il vicariato di Mongo collaborano con Unhcr con progetti di assistenza e di avvio di coltivazioni per contrastare il deficit alimentare.
A Khartum, che religiosi e missionari hanno dovuto lasciare in estate, sono rimasti tre sacerdoti che condividono drammi e vita quotidiana dei fedeli. Gli ospedali sono stati quasi tutti distrutti e si mangia grazie alle cucine popolari. A Port Sudan le congregazioni, le diocesi e la comunità di Sant'Egidio stanno aiutando profughi e sfollati. Human Rights Watch, che ha appena pubblicato l’ultimo di una serie di report sul conflitto, denuncia il contesto genocidario che 20 anni dopo aleggia sul Darfur. Le milizie arabe alleate delle Rsf, provenienti dalla “Baggara Belt”, la cintura delle antiche tribù di lingua araba dal Sudan al Camerun via Ciad impoverite dai mutamenti climatici, non vengono pagate ed esercitano il diritto di saccheggio.
Laetitia Bader, operatrice di Human Rights Watch appena tornata dal confine con il Sud Sudan – chiedendo al Consiglio di sicurezza Onu di intervenire per la sicurezza dei civili –, conferma che «le Rsf hanno saccheggiato le case rubando oro, mobili, persino gli zaini dei bambini. I profughi hanno dovuto vendere i beni rimasti per poter mangiare. Altri sono stati derubati durante la fuga. Lo stupro è un’arma usata per la pulizia etnica del Darfur occidentale ». Dove anche l’altro ieri 9 persone sono state uccise in un attacco all’ospedale di al-Fashir. Una percentuale significativa di donne e bambini, il 40% dei rifugiati, ha subito orribili forme di violenza, tra cui le aggressioni sessuali e molte donne sono costrette a prostituirsi per sopravvivere.
Le miniere d'oro del Darfur sono una delle cause della guerra civile. L'estrazione è curata dai mercenari della russa Wagner corporation che contrabbanda il metallo giallo negli Emirati Arabi Uniti per venderlo sul mercato mondiale e aggirare l'embargo finanziando la guerra in Ucraina. L'embargo di armi è ancora limitato al Darfur e facilmente aggirato. Amnesty International ha dato le prove della fornitura da parte degli Emirati in partnership anche con i francesi di armi letali alla Rsf. Sull'altro versante l'Iran avrebbe fornito i droni all'esercito alla fine del 2023 e Russia ed Egitto 15 nuovi jet da combattimento. L'Eritrea avrebbe addestrato due milizie. Armi leggere e munizioni a salve poi riconvertite arrivano a fiumi da molti paesi, anche dalla Turchia.
Gli Emirati sono presumibilmente l'attore straniero più coinvolto. Oltre alle armi e all'oro, sono interessati all'uranio del Paese per alimentare le centrali nucleari con le quali stanno conducendo la transizione energetica dal petrolio e a proteggere i prodotti agricoli per la propria sicurezza alimentare collegandoli con il loro porto di Abu Amama sul Mar Rosso. In cambio i paramilitari delle Rsf forniscono combattenti contro gli Houthi nello Yemen e aiutano, ricambiati a loro volta con mercenari, il generale libico Khalifa Haftar in Cirenaica. La pace pare al momento lontana in questa tragedia infinita e dimenticata.
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Il conflitto, scoppiato tra le fazioni armate al governo, è degenerato a causa delle interferenze straniere: fanno gola le miniere di uranio
Rifugiati sudanesi in un campo di Medici senza frontiere a Farchana in Ciad / Ansa