Razionale non vuol dire che è anche vero
Meditare sulla creazione come relazione, come suggerisce san Tommaso, è molto più interessante e salvifico che ricercare improbabili prove scientifiche della creazione come inizio dell’universo
PIERO BENVENUTI
Di tanto in tanto mi diverto a leggere alcune frasi di Tommaso d’Aquino ai miei colleghi astronomi per vedere la loro sorpresa nello scoprire come un teologo del XIII secolo, di cui forse conoscevano solo il nome e la fama, avesse idee così chiare e profetiche sul ruolo della scienza nella ricerca della verità. Una delle frasi preferite, tratta dal Commento al De Coelo di Aristotele, è la seguente: «Le ipotesi alle quali gli astronomi antichi sono giunti, non sono necessariamente vere; anche se sembra che, ammesse tali ipotesi, esse siano risolutive, non c’è bisogno di dire che esse sono vere: perché può darsi che le osservazioni astronomiche si possano descrivere in un altro modo non ancora afferrato dagli uomini».
Le ipotesi citate da Tommaso, come risulta chiaro da un simile passaggio della Summa Teologica, sono gli eccentrici ed epicicli di Tolomeo, astronomo alessandrino, che nel secondo secolo dopo Cristo, raccogliendo l’eredità dell’astronomia greca e babilonese nella sua opera fondamentale, l’Almagesto, formulava un modello geometrico e matematico dell’universo che sarebbe sopravvissuto sino alla rivoluzione copernicana.
Gli sviluppi matematici di Tolomeo e le verifiche sperimentali delle sue conclusioni teoriche apparivano ineccepibili a Tommaso e lo sono tuttora. Esse discendono però dall’ipotesi che la Terra sia al centro dell’universo e dal postulato aristotelico che imponeva unicamente orbite circolari per il moto dei corpi celesti.
Cadute tali ipotesi filosofiche grazie alle osservazioni di Keplero, all’ipotesi eliocentrica di Copernico e agli sviluppi teorici di Galileo e Newton, ecco che la previsione profetica di Tommaso si realizza appieno con la nuova meccanica celeste. Il potere predittivo di quest’ultima, capace addirittura di individuare la presenza di pianeti non ancora osservati, fu tale da far sembrare le nuove ipotesi newtoniane “risolutive”. Possiamo allora considerarle anche “vere”?
L’Illuminismo e il Positivismo presero posizione in questo senso, senza accorgersi che anche la fisica newtoniana si basava, ancorché implicitamente, su un postulato filosofico, ovvero il carattere assoluto dello spazio e del tempo.
All’inizio del secolo scorso, Albert Einstein svelò l’inganno e con le sue teorie della relatività ristretta e generale, parafrasando Tommaso, «descrisse la realtà in un altro modo non ancora afferrato dagli uomini».
A questo punto, superato l’iniziale stupore, la conversazione con i colleghi astronomi diventa interessante perché riconosce la chiara distinzione presentata da Tommaso tra la realtà e la descrizione razionale della stessa, perseguita dagli uomini. Non v’è dubbio che il progresso di quest’ultima ci faccia sempre più avvicinare, o meglio, comprendere le caratteristiche della realtà fisica.
Certi traguardi di conoscenza, come il fatto che sia la Terra ad orbitare attorno al Sole e non viceversa, sono incontrovertibili, ma nessun modello razionale dell’universo potrà mai dirsi definitivo. Ogni progresso di conoscenza svela novità rimaste nascoste per secoli, come la natura evolutiva del cosmo o la presenza della materia oscura nell’universo. È chiara quindi l’illusione di chi insegue una definitiva e risolutiva Teoria del tutto, come ha fatto Stephen Hawking in uno dei suoi celebrati best-seller.
Risulta altrettanto pericoloso e fuorviante utilizzare i risultati di una teoria scientifica per trarre conclusioni filosofiche o teologiche definitive. È il caso della chiamata in causa del Principio antropico per affermare che l’evoluzione dell’universo sia guidata da un Disegno intelligente e quindi presentarlo come prova inconfutabile dell’esistenza di un Dio Creatore. La regolazione fine dei parametri che controllano l’evoluzione del cosmo è sicuramente straordinaria e apparentemente inspiegabile, ma potrebbe in futuro discendere naturalmente da una teoria fisica “non ancora afferrata dagli uomini”. A quel punto le prove ontologiche basate sul Principio antropico svanirebbero come neve al Sole.
A questo punto della mia conversazione con i colleghi, estraggo dal cassetto un’altra illuminante sentenza di Tommaso, in questo caso tratta dalla Summa contra Gentiles: «Risulta con chiarezza l’incongruenza di chi ricerca la creazione con argomenti desunti dalla natura dell’universo o dalla sua evoluzione: come se la creazione, al pari delle altre mutazioni, dovesse prodursi in un soggetto; e come se il non-essere dovesse trasformarsi nell’essere nello stesso modo con cui l’acqua si trasforma in vapore. La creazione infatti non è una mutazione, ma è la dipendenza stessa dell’essere creato in rapporto al principio che lo fa esistere. Essa appartiene quindi alla categoria di relazione ».
Questo passaggio, con il quale ho messo in crisi molti catechisti e insegnanti di religione, è fondamentale per comprendere il vero significato del concetto di Creazione, che non può più essere considerata come un evento che avviene una volta per tutte nello spazio e nel tempo, ma piuttosto come una relazione a-temporale, una Creatio continua, che mantiene in esistenza tutta la realtà, fisica e metafisica, in ogni istante.
I tentativi di dimostrare la Creazione con argomenti dedotti dall’attuale modello cosmologico sono quindi non solo futili, ma anche fuorvianti perché offrendo una falsa sicurezza ci allontanano dalla paziente e personale ricerca della relazione con il Creatore. Una relazione incondizionata, che da entrambe le parti non si aspetta nulla in cambio se non la gelosa conservazione della stessa. Una relazione, reale quanto reali sono il Sole, la Luna e le stelle, ma che vive al di fuori dei confini dello spazio e del tempo e non può quindi corrompersi sotto una pietra tombale. Una relazione che unendoci al Creatore ci rende cocreatori e co-responsabili di un universo che evolve e ci fa intravedere la realtà eterna, atemporale, della comunione dei santi, alla quale distrattamente recitiamo di credere ogni domenica. Meditare sulla Creazione come relazione, come suggerisce Tommaso, mi sembra molto più interessante e salvifico che ricercare improbabili prove scientifiche della creazione come inizio dell’universo.
Purtroppo un best-seller che approfondisca il concetto di Creazione secondo la prospettiva di Tommaso non è ancora stato scritto, ma considerando l’attuale panorama editoriale su questi temi, se ne sente veramente il bisogno.
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Piero Benvenuti ha lavorato come astronomo presso l’Osservatorio di Asiago e poi presso l’Osservatorio Spaziale Iue dell’Agenzia spaziale europea, a Villafranca del Castillo (Madrid), del quale è divenuto direttore nel 1981; dal 1984 al 2003 è stato responsabile scientifico europeo del progetto Hubble, il telescopio spaziale internazionale, e contemporaneamente ha insegnato alle università di Cagliari e di Padova. È stato inoltre responsabile del progetto AstroVirTel, presidente dell’Istituto nazionale di astrofisica, commissario straordinario dell’Agenzia spaziale italiana e segretario generale dell’Unione astronomica internazionale.